Sale la spesa delle famiglie ma cambia la dieta, più frutta anche grazie alla crisi

ROMA.- La spesa delle famiglie continua a salire ma resta ancora sotto i livelli di cinque anni fa. L’Istat per il 2016 stima in 2.524 euro il budget mensile, in aumento dell’1% sul 2015 ma inferiore di oltre cento euro rispetto al 2011. Segno che la crisi ha inciso profondamente. E non è solo una questione di rialzi e ribassi: gli italiani hanno iniziato a fare scelte diverse, a prendere abitudini diverse. Ed è cosi che sulla carne si è deciso di tagliare, preferendo frutta e verdura o qualche piatto di pesce in più.

Fin qui le medie, andando oltre emergono forti divari, soprattutto tra centro e periferia. Sono, infatti, le grandi città a guidare la ripresa con un’impennata della spesa del 10%. Tornando al quadro generale, l’Istituto di statistica parla di “ritmo moderato” per i consumi, con una fase di recupero che ormai prosegue dal 2014 e che lo scorso anno ha potuto contare su un aumento del reddito disponibile, ‘graziato’ da un’inflazione “prossima allo zero”.

Di certo una buona fetta del budget mensile, circa 84 euro giornalieri, è destinata al cibo. Capitolo su cui gli italiani mostrano, dice lo stesso Istat, “una crescente attenzione” per una “più corretta alimentazione”. Le bistecche vanno sempre meno di moda, con un calo della spesa per la carne del 4,8%. Una diminuzione che annulla l’aumento dell’anno prima, un rialzo che così si conferma isolato visto il trend in continua discesa, anche se la carne resta una “componente importante”.

Se non è una svolta vegetariana, per esempio il consumo di pesce schizza del 9,5%, si può definirla una virata verso una dieta mediterranea, che secondo la Coldiretti sta tornando “prepotentemente” sulle tavole degli italiani, con frutta e verdura diventate la prima voce di spesa nel carrello. Dietro al nuovo orientamento però, avverte il presidente dell’Istat Giorgio Alleva, c’è anche altro: “per certi versi” è “anche risultato della crisi”.

Quanto ai ‘gap’ tra i livelli di consumo, la riduzione della distanza tra Nord e Sud secondo Alleva è dovuta al capitolo legato all’abitazione e non tanto alla spesa intesa in senso tradizionale. Comunque nella graduatoria svetta il Trentino Alto Adige, seguito da Emilia Romagna e Lombardia. In fondo sempre la Calabria.

Piuttosto colpisce la frattura tra piccoli e grandi centri, dovuta in gran parte agli affitti più cari delle città più popolate (481 euro a fronte dei 356 dei comuni sotto i cinquantamila abitanti). Lo stesso riguarda anche i mutui (652 euro contro 564).

Alle disparità territoriali si aggiungono quelle sociali, che restano forti: le famiglie più ricche possono permettersi di spendere cinque volte quanto fanno quelle più povere. E ancora, nelle case con solo stranieri i consumi sono inferiori di mille euro. Uno scarto simile si registra anche tra i nuclei dove il capofamiglia è un operaio e quelli dove invece è un dirigente.

(di Marianna Berti/ANSA)

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