Trump frena su cybersecurity con Putin. Bufera sul figlio Donald jr

Trump Jr
Trump col figlio Donald junior
Trump col figlio Donald junior

WASHINGTON. – Deriso anche da molti esponenti del suo partito, Donald Trump corregge il tiro sull’ “impenetrabile” unità comune per la cyber sicurezza che aveva discusso al G20 con Putin, mentre il Russiagate infuria con la polemica per l’imbarazzante incontro del figlio maggiore con una avvocatessa russa che gli aveva promesso materiale compromettente su Hillary Clinton: una prima conferma, secondo il Nyt, di una disponibilità a ricevere aiuti russi nella campagna elettorale per la Casa Bianca.

“Il fatto che io e il presidente Putin abbiamo discusso di un’unità sulla cyber sicurezza non significa che io pensi possa accadere. Può non accadere”, ha twittato. Anche il Cremlino ha fatto un passo indietro, precisando che si è solo discusso di lavorare in questa direzione. La presidenza russa gli è andata in soccorso anche sull’incontro sospetto di Donald jr: “No, non sappiamo di chi si tratta, e certamente non possiamo tracciare gli incontri di tutti gli avvocati russi, sia dentro il paese sia all’estero”, ha affermato Dmitri Peskov, il portavoce di Putin.

Eppure l’avvocatessa Natalia Veselnitskaya non è un oscuro legale moscovita. Tra i suoi clienti ha grosse aziende statali e pure un imprenditore che ha patteggiato con la giustizia Usa per un’accusa di riciclaggio legata ad una truffa scoperta dall’avvocato Serghiei Magnitsky, poi arrestato dalle autorità russe e morto in cella in circostanze controverse (torturato, secondo la famiglia). Tanto che poi il Congresso Usa ha approvato una legge che porta il suo nome per sanzionare cittadini russi sospettati di abusi di diritti umani. Legge contro cui Veselnitskaya ha combattuto con una campagna pubblica, in Usa attraverso una ong con sede in Delaware.

La ragnatela russa si è infittita dopo la rivelazione che a chiedere l’incontro è stato il manager musicale Rob Goldstone per conto di un suo cliente, Emin Agalarov, nota pop star russo-azera che insieme al padre Aras è un importante imprenditore immobiliare e ha ottimi rapporti con Putin. I due Agalarov erano stati scelti da Donald Trump per portare a Mosca nel 2013 il concorso di Miss Universo, all’epoca di proprietà del tycoon. Non solo. Aras è citato nel dossier redatto dall’ex spia britannica Christopher Steele sui presunti legami della campagna del tycoon con Mosca e sarebbe servito come legame fra Trump e Putin, secondo il Wp.

I dirigenti della Casa Bianca cercano di gettare acqua sul fuoco definendo irrilevante e senza seguiti l’incontro sospetto. Anche Donald jr si è difeso via Twitter, sostenendo che non è certo il primo a fare incontri in campagna elettorale per avere informazioni su un avversario: “Non ha portato a nulla ma dovevo sentirla”, ha spiegato, dimenticando però che in questo caso c’era il rischio di farsi aiutare da una potenza straniera diventandone ricattabile.

I media gli contestano inoltre di aver dato due versioni dell’incontro, la prima delle quali senza citare il materiale offerto dall’avvocato, e che lo scorso marzo aveva assicurato di non aver incontrato alcun russo. Non servendo nell’amministrazione, tuttavia, non aveva alcun obbligo di svelare i suoi contatti stranieri.

A quell’incontro parteciparono anche l’allora capo della campagna Paul Manafort, dimessosi a causa dei suoi rapporti non dichiarati con il mondo politico russo-ucraino, e il genero del presidente, Jared Kushner, ora nel mirino del Russiagate per aver dato udienza all’ambasciatore russo in Usa e al capo della banca russa Vtb, sotto sanzioni Usa. Mai però prima il Russiagate era arrivato così vicino alla famiglia del presidente.

(di Claudio Salvalaggio/ANSA)