Tour: Aru splendente, sui Pirenei strappa la maglia gialla a Froome

Aru maglia gialla
Fabio Aru sul podio di Peyragudes, Francia, 13 luglio 2017. EPA/ROBERT GHEMENT
Aru maglia gialla
Fabio Aru sul podio di Peyragudes, Francia, 13 luglio 2017. EPA/ROBERT GHEMENT

ROMA. – Sei secondi, in una corsa a tappe lunga 3.540 chilometri, che dura 23 giorni, sono quasi un battito di ciglia. Che è bastato a Fabio Aru per entrare fra i pochi eletti del ciclismo italiano che hanno avuto merito e previlegio di indossare la maglia gialla. Il sardo dell’Astana, che sembra triste anche quando sorride, era partito da Pau con 18″ di ritardo da Chris Froome ed è arrivato a Peyragudes con una ventina di secondi di vantaggio sull’inglese del Team Sky, che adesso nella classifica generale rincorre a -6″.

E’ la prima volta che Aru indossa la maglia gialla, dopo essersi messe addosso quella rosa del Giro d’Italia e quella rossa della Vuelta, ma è anche la prima volta che lo strapotere del keniano bianco scricchiola, perché Froome non aveva mai perso la maglia gialla in una tappa in salita. Un buon segno per chi spera di interrompere l’egemonia di un corridore che, fra il 2012 e il 2016, ha ottenuto tre vittorie a Parigi e un secondo posto dietro – ma solo per ordini di scuderia – al compagno britannico Bradley Wiggins.

Dal 2014, vittoria di Vincenzo Nibali, anche lui con la maglia di campione nazionale e dell’Astana, un italiano non saliva sul tetto del Tour, anche provvisoriamente.

Aru ha preparato come meglio non poteva il ‘blitz giallo’, scattando a circa 300 metri dal traguardo, sulle rampe più dure dell’ultima salita e creando un piccolo vuoto alle proprie spalle: difficile resistergli, solo il francese Romain Bardet ci riesce, superandolo dopo circa 150 metri e avviandosi stravolto verso il traguardo, davanti al colombiano Rigoberto Uran e allo stesso Aru.

L’esplosione finale del gruppetto dei big provoca una piccola frattura e un verdetto sorprendente, con Froome che si stacca, senza riuscire a mulinare come ai bei tempi. Non è esclusa, per dirla alla Gimondi, che il capitano sia stato vittima dei suoi stessi ‘Skymen’, fin troppo veloci nel ritmo sulle due salite finali, con Nieve, Landa e, prima ancora, Kwiatkowski che hanno spinto a più non posso sui pedali, raggiungendo velocità proibitive in salita.

Né Aru, né Bardet e neppure Uran, però, hanno mai perduto un metro; lo stesso non si può dire di Nairo Quintana e di Alberto Contador. Il colombiano si è staccato già sulla penultima salita (Port de Balès), lo spagnolo idem. E non solo mancati i brividi nell’ultima discesa, allorché Nieve ha completamente sbagliato una curva a sinistra e si è andato a infilare in uno strettissimo varco fra due camper, Froome lo ha seguito e Aru pure.

I tre sono rimasti in piedi miracolosamente, sul bordo della carreggiata, e hanno proseguito, ma il fuori programma li ha costretti a recuperare qualche secondo. Gli uomini in bianco dello squadrone inglese hanno continuato ad andare a tutta, impedendo qualsiasi tentativo, ma spremendosi in un lavoro che, in altri tempi, forse, avrebbe ‘scatenato’ il ‘frullatore’ Froome che stavolta invece è rimasto spento e poi, dopo l’arrivo, ha confessato di non avere più le gambe.

A questo punto tutto può accadere, visto i sinistri scricchiolii del suo trono che ormai sembra diventato espugnabile, anche se ci vorrà una grande impresa. Aru, Bardet e Uran hanno dimostrato di esserci, le salite non mancheranno e i colpi di scena pure.

(di Adolfo Fantaccini/ANSA)

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