Trump sotto assedio sul Russiagate, anche Spicer lascia

White House Press Secretary Sean Spicer . ANSA/SHAWN THEW
White House Press Secretary Sean Spicer . ANSA/SHAWN THEW

WASHINGTON. – Sei mesi di presidenza Trump e tutto cambia. A partire dal ‘volto’ della Casa Bianca, con le dimissioni del portavoce Sean Spicer, presentate in coincidenza della scelta del presidente di nominare il finanziare Anthony Scaramucci direttore della comunicazione, ruolo pure ricoperto da Spicer. Al suo posto, la vice Sarah Huckabee Sanders.

Un terremoto, anche se in parte annunciato. Che però esplode proprio mentre cresce la pressione per il ‘Russiagate’, con il procuratore speciale Robert Mueller a quanto pare interessato anche ad alcune transazioni commerciali che fanno capo al business di Donald Trump e a pochi giorni dalle testimonianze al Senato del potente genero Jared Kushner (a porte chiuse) e di Donald Trump Jr.

Che Spicer potesse lasciare il podio della sala stampa lo si vociferava da tempo, ogni volta che emergevano critiche del presidente per la sua performance. Da quasi un mese poi i briefing con la stampa venivano affidati alla sua vice, Sarah Huckabee Sanders, ed erano condotti a telecamere spente. Per Trump, in televisione Spicer non funzionava granché, almeno non secondo i suoi standard.

E allora in un più vasto ‘rimpasto’ prima delle vacanze ha chiamato adesso a bordo il vecchio amico Anthony Scaramucci, finanziere di New York, bravissimo – a suo avviso – a fargli da ‘surrogato’ in tv, che lo aveva aiutato nella squadra della transizione ma poi un posto per lui alla Casa Bianca non lo aveva trovato. Ecco l’occasione: fedelissimo, fotogenico, amico di famiglia.

Spicer però non l’ha mandata giù e ha deciso di lasciare anche il podio. Ufficialmente “per dare alla squadra un nuovo inizio”, ha detto alla Cnn, ma riconoscendo che “Trump ha messo bene in chiaro di volere nuove persone”. E’ piccato Spicer. Contrariato, anche arrabbiato stando alle ricostruzioni. In fondo in questi mesi è stato lui a farsi carico del ‘lavoro più difficile del mondo’, dare voce a un presidente imprevedibile e metterci la faccia con una stampa sempre più agguerrita.

Non senza inciampare, certo, e più d’una volta: dall’esordio burrascoso senza prendere domande dai giornalisti nel primissimo briefing ai battibecchi con i reporter (grazie ai quali, però, si è guadagnato una riuscitissima parodia dell’attrice Melissa McCarthy), fino alla gaffe delle gaffe, quando nel tentativo di caratterizzare la ferocia del regime di Assad in Siria affermò con un incauto paragone che nemmeno Hitler arrivò ad usare armi chimiche, tralasciando evidentemente il ‘dettaglio’ delle camere a gas.

Ma a farlo cadere non sono stati tanto questi errori quanto la necessità di Trump di smuovere le acque mentre la nube del Russiagate incombe più che mai sulla sua presidenza. Si cambia infatti anche nella squadra di avvocati: non la guiderà più Marc Kasowitz – che ha un rapporto consolidato con il tycoon avendolo assistito fin dai primi anni 2000 – ma sarà Ty Cobb, un veterano tra le ‘legal eagle’ di Washington da poco ingaggiato, a gestire le risposte degli avvocati sugli sviluppi del ciclone. Mentre il portavoce della squadra legale, Mark Corallo, si è dimesso.

Intanto Trump ha inviato un messaggio chiaro anche a Robert Mueller: il Washington Post scrive che degli avvocati del presidente stanno esplorando i modi per limitare o minare l’inchiesta del procuratore Mueller, nel tentativo di montare il caso su quanto presumono costituisca conflitto di interesse. Oltre a valutare se il presidente abbia o meno facoltà di concedere un’amnistia a sé stesso e ai suoi familiari.

(di Anna Lisa Rapanà/ANSA)