eni
ROMA – Sempre contro vento e marea. L’Eni non ha alcuna intenzione di lasciare il Venezuela anche se ormai nei giocimenti è presente solo il personale strettamente necessario. Per il momento, non è prevista l’evacuazione di tutto lo staff.
Consultato in merito alla sua presenza in territorio venezuelano, l’azienda del cane a sei zampe, con un comunicato, ha informato:
“Continuiamo a monitorare attentamente la situazione. Attualmente nel paese è presente unicamente il personale espatriato necessario al funzionamento dei nostri impianti. Al momento non stiamo considerando un’evacuazione totale del nostro staff”.
Bloomberg, l’autorevole agenzia di informazione, ha reso noto che Repsol starebbe richiamando i lavoratori stranieri dai giacimenti, mentre Statoil lo ha già fatto con lo staff di espatriati.
Non importa, quindi, se in Venezuela oggi si respira un clima da guerra civile. Già a maggio, quando i morti nelle manifestazioni erano poco più di 50 e l’Assemblea Nazionale Costituente non esisteva, l’ad Claudio Descalzi aveva spiegato:.
– Il nostro è un investimento a lungo termine. Se dovessimo abbandonare tutti i Paesi in cui c’è una situazione difficile lasceremmo spazio ai nostri concorrenti.
E’ un criterio tutt’ora valido, nonostante il vuoto internazionale che si sta creando attorno al Paese e le dure prese di posizione dell’Italia e dei paesi dell’Unione Europea.
Nell’ultimo ventennio non sono state tutte rose e fiori tra il governo e l’azienda petrolifera italiana. Ad esempio, nel 2006, durante il governo dell’estinto presidente Chávez, il Venezuela esproprió giacimento di Dacion, annullando un contratto di servizio con la compagnia nazionale Pdvsa. Furono mesi di polemica tra la holding italiana e il governo venezuelano. Poi, due anni dopo circa, Eni raggiunse un accordo risolutorio, incassando dal Venezuela una compensazione in contanti definita “in linea con il valore contabile dell’asset”.