Svolta di Trump sull’Afghanistan. I talebani: “Cimitero Usa”

Svolta Trump su Afghanistan
Svolta Trump su Afghanistan

WASHINGTON. – Nato e Kabul plaudono insieme all’India, il Pakistan respinge le accuse di offrire protezione ai terroristi, la Cina lo difende, la Germania mette in chiaro che non metterà un uomo in più, mentre i talebani promettono di fare dell’Afghanistan “un cimitero per l’impero americano”. Sono le prime reazioni alla nuova strategia sull’Afghanistan annunciata in diretta tv da Donald Trump, che ha promesso di rafforzare la presenza americana in base alle condizioni sul campo e senza scadenze temporali, rimangiandosi le promesse elettorali di ritirarsi dalla più lunga e costosa guerra della storia americana: 16 anni, più del Vietnam.

Un dietrofront bollato come un tradimento del trumpiano ‘America first’ da parte di Breitbart News, il sito di ultradestra tornato sotto la guida di Steve Bannon, il chief strategist nazionalista e isolazionista della Casa Bianca silurato nei giorni scorsi. “Il mio istinto era di ritirarsi, e storicamente mi piace seguire i miei istinti, ma in tutta la mia vita ho sentito che le decisioni sono molto differenti quando siedi dietro la scrivania dello Studio Ovale”, ha esordito il tycoon per giustificare la marcia indietro, usando per una notte toni presidenziali.

Poi ha spiegato cosa lo ha convinto a cambiare idea: abbandonare l’Afghanistan significherebbe lasciare un vuoto che i terroristi, dai talebani all’Isis e Al-Qaida, riempirebbero subito trasformando quel Paese in una piattaforma per attaccare gli Usa. Trump ha volutamente evitato di fornire numeri (i media parlano dell’invio di 4.000 militari in aggiunta agli 8.400 presenti) e piani “per non favorire il nemico”.

Lo stesso capo del Pentagono James Mattis ha confermato oggi che il numero di soldati in più da mandare sarà deciso solo dopo che il capo di stato maggiore dell’esercito, gen. Jospeh Dunford, avrà presentato un piano. Ma il presidente ha precisato di aver dato ampi poteri ai comandanti sul campo perché le battaglie non si vincono impartendo ordini da Washington.

In realtà la sua strategia non sembra differire molto da quella dei suoi vituperati predecessori ed avere più speranze di successo. E’ il classico uso del bastone e della carota, con il rilancio da parte del segretario di Stato Rex Tillerson di negoziati di pace ai talebani “senza precondizioni”. Ma i ribelli hanno risposto che “fino a quando anche un solo soldato Usa sarà presente sulla nostra terra, e l’America continuerà la sua politica di guerra, noi porteremo con determinazione e solennità la nostra ‘jihad’ (guerra santa) contro di loro”.

Anche il severo monito al Pakistan a collaborare con gli Usa nella lotta al terrorismo suona vecchio. Islamabad, difesa a spada tratta da Pechino, è già scattata sull’attenti, ribadendo il suo “desiderio di pace e stabilità”. Neppure l’avviso a Kabul a fare le riforme è nuovo: Trump ha ripescato dal repertorio di Obama la frase ad effetto che il sostegno Usa “non è un assegno in bianco”.

Se Bannon lo accusa di aver tradito la base dell’American First, Trump incassa il plauso dei maggiorenti repubblicani, compreso John McCain. Ed oggi si rituffa nella politica interna per recuperare la sua base con un comizio e un blitz al confine col Messico, in Arizona: in agenda muro e clandestini.

(di Claudio Salvalaggio/ANSA)

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