Trump militarizza la polizia. Scoppia il caso Tillerson

Trump militarizza la polizia.
Trump militarizza la polizia.

NEW YORK. – I poliziotti americani potranno essere nuovamente armati ed equipaggiati come dei veri e propri soldati in guerra: fucili d’assalto, lanciagranate, mimetiche, mezzi corazzati. Sulle strade, insomma, come sui campi di battaglia. Col rischio, denunciano le associazioni per i diritti civili, di alimentare ulteriormente le crescenti tensioni sociali.

La svolta era nell’aria, già evocata da Donald Trump in campagna elettorale, compresa nello slogan ‘law and order’. Ora è arrivato l’annuncio del ministro della Giustizia Jeff Sessions, in un momento tra l’altro molto delicato, in cui le varie anime di un’America sempre più divisa tornano a confrontarsi nelle strade e nelle piazze del Paese, come non accadeva da decenni.

E così sotto le mani di Donald Trump si sbriciola un altro pezzo dell’eredità di Barack Obama, che dopo i disordini di Ferguson aveva deciso nel 2015 di porre per decreto dei limiti agli armamenti delle forze dell’ordine a livello statale e locale. Decisione presa sull’onda delle polemiche per una polizia troppo violenta e sulla scia di uccisioni di cittadini afroamericani da parte di agenti dal grilletto facile.

Un provvedimento che Obama aveva motivato con la necessità di ‘pacificare’ il clima, soprattutto all’interno delle comunità più povere e disagiate, nelle periferie della grandi metropoli popolate in gran parte dalle minoranze etniche e religiose. Ma per Trump ‘militarizzare’ le forze di polizia è una necessità.

“L’America – spiega Sessions – si trova di fronte a una battaglia combattuta su più fronti: dall’aumento dei crimini violenti a un’escalation delle attività delle gang, da un’epidemia degli oppioidi alla lotta al terrorismo. Il crimine non diventerà la nuova normalità”.

Intanto crescono i malumori all’interno dell’amministrazione, coinvolgendo oramai alcune delle figure chiave del governo. Si parla infatti di ‘mal di pancia’ da parte di personaggi del calibro di Rex Tillerson o James Mattis, rispettivamente capo della diplomazia Usa e numero uno del Pentagono.

Il ‘caso Tillerson’ è esploso dopo un’intervista rilasciata dal segretario di Stato nel fine settimana a proposito dei valori americani e delle violenze razziste di Charlottesville. Intervista nella quale Tillerson afferma che “il presidente Trump parla per sé stesso”.

Parole che marcano una significativa distanza tra i due e che – raccontano i ben informati – avrebbero fatto letteralmente infuriare il tycoon, già irritato dall’atteggiamento troppo ‘establishment style’ dell’ex Ceo di Exxon Mobil. E così tornano le voci su una sua possibile sostituzione con Nikki Haley, l’ambasciatrice di origini sikh ‘braccio armato’ di Trump al Palazzo di Vetro dell’Onu.

Rischia di incrinarsi però anche la cerchia dei generali di cui il presidente Usa si è circondato, con alcune delle recenti esternazioni del segretario alla Difesa Mattis interpretate come delle velate critiche a una linea della Casa Bianca ritenuta poco chiara.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)

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