Trump alza i toni con Kim, ma ha le mani legate

EPA/SOUTH KOREA DEFENSE MINISTRY /
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NEW YORK. – C’è uno scenario che frustra l’impeto di Donald Trump, la gran voglia di dare una lezione al regime Kim Jong-un a suon di missili, quel ‘fire and fury’ urlato a gran voce qualche settimana fa. Uno scenario racchiuso in una parola: ‘doomsday’, il giorno del giudizio, la fine del mondo. Perché una cosa è chiara a tutti, dalla Casa Bianca al Pentagono: se gli Usa decideranno un attacco preventivo contro la Corea del Nord, per alleati come Seul e Tokyo l’Apocalisse è quasi certa.

Una guerra devastante che potrebbe poi innescare un conflitto ben più ampio. Nessun esperto – dentro e fuori l’amministrazione Trump – nasconde oramai come anche di fronte a un intervento su larga scala delle forze armate Usa (compreso l’intervento di truppe di terra) la rappresaglia di Pyongyang sarebbe inevitabile. Con almeno 25 milioni di sudcoreani che diventerebbero il bersaglio dell’artiglieria e dei razzi di Kim. Senza contare i quasi 30 mila americani che vivono nella regione. Mentre il Giappone sa già bene come i missili di Kim possono colpire in qualunque momento.

Dunque, nonostante la minaccia di una “massiccia risposta militare” arrivata da Washington dopo l’ultimo test nucleare nordcoreano, tutti i più stretti consiglieri e collaboratori del presidente americano frenano i bellicosi ardori: dal consigliere per la sicurezza nazionale H.R.McMaster allo stesso capo del Pentagono, l’ex generale James Mattis. Le opzioni militari ci sono, e sono già da tempo sulla scrivania dello Studio Ovale. Ma – non si smette di ripetere al tycoon – non sono di fatto praticabili. Se non come ultima risorsa, in chiave difensiva.

Un Trump con le mani legate, dunque, costretto a dover perseguire l’unica strada che appare oggi percorribile: quella del dialogo col regime di Kim, magari riesumando sotto la pressione di nuove sanzioni quel tavolo a sei (con Mosca, Pechino, Tokyo e Seul) che aveva avviato George W.Bush nel 2003. Una soluzione diplomatica (in verità mai apparsa così lontana come nelle ultime ore e definita dall’inquilino della Casa Bianca inutile) il cui successo dipende in gran parte dall’atteggiamento che assumerà la Cina.

E’ proprio su Pechino che si va sempre più spostando l’attenzione di Washington. “Chi continua a fare affari con Pyongyang di fatto aiuta quel regime”, ha detto l’ambasciatrice Nikki Haley, ‘braccio armato’ di Trump all’Onu. Mentre il segretario al Tesoro Steven Mnuchin prepara nuove sanzioni unilaterali per punire duramente i Paesi che continuano ad avere rapporti economici con la Corea del Nord, tagliando loro l’accesso al mercato americano. Una strada non sgombra di rischi, col pericolo di rappresaglie da parte della Cina.

C’è poi il pressing senza precedenti sul Consiglio di sicurezza dell’Onu perché adotti il massimo delle misure punitive possibili, stroncando definitivamente i flussi di petrolio e denaro verso la Corea del Nord. Quei flussi su cui si reggono di fatto i programmi nucleare e missilistico di Pyongyang.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)

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