La Colombia aspetta il Papa, coronamento di un percorso di pace

Colombia aspetta il Papa
Colombia aspetta il Papa

CITTA’ DEL VATICANO. – La febbrile attesa, la vera e propria euforia con cui la Colombia si appresta all’arrivo di papa Francesco sembra avere in questi giorni pochi precedenti nel quadro dei viaggi papali: un Paese letteralmente mobilitato per ricevere il primo Papa sudamericano della storia, pronto a mettere in quest’abbraccio tutto il proprio spirito ‘latino’, fatto anche di suoni, di colori e di costumi tradizionali, oltre alla forza della propria fede cattolica, di cui resta tra i maggiori bacini al mondo.

Un Paese in forte evoluzione, anche economica – ingentissimi gli aiuti che riceve anno per anno dagli Stati Uniti, di cui è una sorta di ‘sponda’ nell’area, ora anche come contraltare al vicino Venezuela del dittatore Maduro -, ma dove l’auspicata “riconciliazione” nazionale, seguente allo storico accordo raggiunto un anno fa dal governo con gli ex guerriglieri delle Farc, è ancora tutta da costruire: e a ostacolate questa riconciliazione in seno alla società, alla politica e anche alla Chiesa sono la memoria e le ferite di oltre 50 anni di violenze, tali da lasciare sul campo almeno 260 mila morti, più di 60 mila dispersi e oltre 7 milioni di sfollati e rifugiati.

Proprio la ricomposizione di questa spaccatura del Paese, dopo l’accordo siglato a livello politico, è uno degli obiettivi di questo viaggio, che nella giornata di venerdì a Villavicencio vedrà il Papa pregare insieme a seimila vittime delle violenze, rappresentanti di quanti hanno avuto familiari rapiti o uccisi, e insieme a ex guerriglieri, ex paramilitari e agenti di polizia: un incontro in un contesto di preghiera e non politico, come ha voluto Francesco, che poi si ripeterà la sera stessa quando sempre un gruppo di testimoni dell’epoca della guerriglia accoglierà il Papa al rientro in Nunziatura a Bogotà.

“Il paese è diviso: c’è chi ha paura e chi cerca un confronto. Ci sono tante altre persone che non si mobilitano per percorrere questa via – ha detto oggi a Tg2000 il presidente della Conferenza episcopale colombiana e arcivescovo di Villavicencio, mons. Oscar Urbina Ortega -. Penso che il Papa con la sua presenza, con la voce, le sue parole ci darà il sostegno necessario per riprendere questo cammino di riconciliazione”. “Dobbiamo cominciare a restaurare la nostra nazione – ha aggiunto – camminando insieme e perdonandoci a vicenda. Il primo passo (motto del viaggio, ndr) è ricordare, far memoria delle violenze subite attraverso il perdono”.

Un passo avanti di questi giorni, proprio nell’imminenza della visita papale, è considerato l’accordo per un cessate il fuoco bilaterale fino al gennaio 2018 firmato ieri a Quito dal governo di Bogotà e dall’Esercito di liberazione nazionale (Eln): mons. Julio Enrique Prado Bolaños, vescovo della diocesi di Pasto, una delle zone più colpite da questa guerra dell’Eln, ha detto che “la Chiesa era ansiosa di questo annuncio”.

“Confido che i membri di questo gruppo (Eln) riescano a capire che la violenza genera solo violenza, ecco perché bisogna rinunciare a questa lotta”, ha aggiunto il vescovo, spiegando che “guardando alla storia, l’Eln potrà arrivare presto ad un cessate il fuoco definitivo in favore delle nostre comunità di Narino dove si vede ancora la sofferenza di questo conflitto”.

E sullo sfondo del viaggio, oltre all’impegno per sostenere il processo di pacificazione, contro la “polarizzazione” della società in due anime contrapposte – come spiega mons. Josè Octavio Ruiz Arenas, segretario del Pontificio Consiglio per la Nuova evangelizzazione ed ex arcivescovo di Villavicencio -, anche le questioni legate alla lotta alla produzione e vendita di cocaina e allo spadroneggiare del narcotraffico, alimentati dalla forte domanda in particolare dal Nordamerica, come pure “la disuguaglianza sociale: la nazione è molto ricca ma la ricchezza non si distribuisce in maniera equa, aumenta il reddito pro capite ma non solleva dalla povertà”.

Tutti temi che il Papa sicuramente toccherà in questi cinque giorni di visita.

(di Fausto Gasparroni/ANSA)

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