ROMA. – L’assegno di povertà che partirà dal primo gennaio 2018 è un risultato importante, ma rischia di diventare uno strumento di divisione se non sarà esteso a più famiglie in difficoltà. Ad oggi, infatti, la misura del Reddito d’Inclusione (Rei) è stata studiata per raggiungere 1,8 milioni di persone, ossia il 38% della popolazione in condizioni di povertà assoluta, ma il 62% ne rimarrà escluso.
A denunciare che solo 1 povero su 4 potrà effettivamente avere accesso all’assegno è Alleanza contro la Povertà che fa notare come anche il 41% dei minori in povertà assoluta non sarà raggiunto dalla misura. Di fatto, secondo l’associazione di cui fanno parte, tra gli altri, Caritas Italiana, Cgil-Cisl-Uil, Confcooperative, Save The Children e Comunità di Sant’Egidio, il Rei dividerà i poveri in due gruppi: quelli che lo riceveranno e quelli che non lo riceveranno.
Una discriminazione che può essere compresa “solo se temporanea e, quindi, da considerare come un primo passo nella prospettiva di un progressivo ampliamento dell’utenza”, prosegue l’Alleanza lanciando così la proposta di un Piano Nazionale contro la povertà da adottare per il periodo 2018-2020, con lo stanziamento di 5,1 miliardi in più rispetto ad oggi (sinora sono stati resi disponibili 1,7 milioni per il 2018 e 1,8 dal 2019).
Per coprire la distanza tra il reddito familiare e la soglia di povertà assoluta, l’ammontare medio mensile dell’assegno Rei “dovrebbe essere di 396 euro, c’è perciò una lontananza significativa tra l’importo necessario e quello attualmente previsto di 289 euro”. Secondo l’Alleanza servono quindi più risorse: “gli attuali 289 euro non sono pochi, ma non permettono di rispondere alle situazioni di necessità in cui versano le famiglie in povertà assoluta”.