Ap chiude sullo Ius soli, braccio di ferro con il Pd

Ius soli
Una manifestazione a sostegno dell'approvazione della legge per la cittadinanza, il 28 febbraio 2017. ANSA/ANGELO CARCONI
Ius soli
Una manifestazione a sostegno dell’approvazione della legge per la cittadinanza, il 28 febbraio 2017. ANSA/ANGELO CARCONI

ROMA. – “Per noi la questione è chiusa”. Ap dice “no” allo ius soli: non è la prima volta, ma questa volta è la linea ufficiale del partito di Angelino Alfano e Maurizio Lupi. Non daranno i loro voti alla legge per la cittadinanza ai bambini stranieri, che è cara alla sinistra, perché incombono le elezioni e non vogliono fare un “regalo alla Lega”. Fine dei giochi, dichiarano: senza i 24 senatori di Alternativa popolare il testo non ha i numeri per passare in Senato.

Ormai le chance di approvare la legge sono ridotte al lumicino. Ma Pd e governo non intendono dichiarare la resa. “Combattiamo”, dicono i Dem. Ma le fibrillazioni di maggioranza registrano nuovi picchi anche con Mdp, che fa andare sotto il governo sul libro bianco Difesa.

La linea dura dei centristi passa al termine di una riunione della direzione del partito: è Lupi, neo-coordinatore del partito e oppositore dello ius soli, a dichiarare il “no” al testo. La contrarietà non è alla legge in sé, dal momento che Ap resta favorevole a dare la cittadinanza a chi compia un ciclo di studi in Italia (ius culturae), ma ai tempi di approvazione: “Sarebbe un errore fare forzature e creare una guerriglia in Parlamento ora, se ne parlerà nella prossima legislatura”, dice Lupi.

E Alfano ammette le ragioni elettorali: “Una cosa giusta fatta al momento sbagliato può diventare una cosa sbagliata”.

Tutto finito? Non ufficialmente. Perché mentre Fi e Lega esultano, il Pd, con il portavoce Matteo Richetti, replica così: “Non c’è tempo sbagliato per un diritto sacrosanto. Cerchiamo una maggioranza parlamentare per una legge in cui crediamo. Non vogliamo mettere in difficoltà il governo ma la posizione del Pd sullo ius soli non si sposta di un millimetro”.

E anche dal governo ribadiscono che fino alla fine si cercherà di creare le condizioni per approvare la legge, un impegno assunto dal premier Paolo Gentiloni. “Oggi c’è stata una fiammata, aspettiamo che si plachi e vediamo se tra chi dice no e chi dice sì c’è una strada per una mediazione”, dice un ministro. Secondo qualcuno lo “ius culturae” avrebbe possibilità di passare.

Ma tra le fila Dem a Palazzo Madama prevale il pessimismo. Margini per cercare tra gli altri gruppi voti che sopperiscano il “no” di Ap allo ius soli, non se ne vedono. E il capogruppo Luigi Zanda aveva già affermato che non intendeva portare in Aula un testo che andasse incontro “a morte certa”: mettere agli atti un “no” potrebbe voler dire – sostiene più d’uno – che la legge non si fa neanche nella prossima legislatura.

Matteo Renzi continua a tacere, dopo aver scelto di non parlare di ius soli dal palco di Imola. Ma tra i parlamentari Dem c’è anche chi, a taccuini chiusi, confessa dubbi sull’opportunità di forzare su una legge che, secondo alcuni sondaggi, penalizzerebbe il Pd.

“Non fa perdere voti”, assicura da sinistra Giuliano Pisapia, che rilancia la necessità di un “nuovo centrosinistra in discontinuità” e dunque senza Renzi. Roberto Speranza incalza: “Basta inseguire la destra, Gentiloni mostri forza e autonomia”. Una frase che alimenta l’irritazione del Pd verso gli ex compagni di partito.

In giornata infatti i bersaniani alla Camera si astengono (come il M5s) su una legge Pd sulle imprese culturali alla Camera e in commissione al Senato votano con le opposizioni e fanno passare un emendamento di Federico Fornaro (Mdp) al libro bianco della Difesa. “Votano con le destre, la solita coerenza”, incalza il Dem Andrea Marcucci. Pier Luigi Bersani torna anche a ventilare la possibilità che Mdp si smarchi e voti in dissenso su Def e manovra, “se non ci prendono in considerazione”.

Ma sul punto resta una diversità di accenti rispetto a Campo progressista. Pisapia – che a breve potrebbe incontrare il governo – si è infatti confrontato con Mdp sulle richieste da fare per la manovra (sulle quali c’è sintonia) ma resta convinto che non si possa rompere e far rischiare al Paese il default.

Divergenze si registrano ancora anche sul percorso e i confini del nuovo progetto: Mdp spinge per tenere dentro SI, Pisapia continua a puntare su un “campo largo”, non – sottolineano i suoi – una ridotta di partiti.

(di Serenella Mattera/ANSA)

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