Ira di Trump coi suoi: “Io più intelligente di Tillerson”

Usa
Tillerson e Trump

 

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Tillerson e Trump

 

NEW YORK. – “Una pentola a pressione”. Chi negli ultimi giorni ha frequentato Donald Trump lo descrive così, più che mai irrequieto mentre si aggira nei corridoi e nelle stanze della West Wing. Spesso furioso, con scatti d’ira che non risparmiano nessuno. Pochi dei suoi più stretti consiglieri si salvano, per non parlare delle crescenti tensioni con gran parte degli uomini della sua amministrazione.

Le situazioni più delicate sono quella con due big come Rex Tillerson, l’ex numero uno del colosso petrolifero Exxon Mobil che il tycoon ha voluto fortemente a capo della diplomazia Usa, e quella col numero uno del Pentagono James Mattis, che dall’Iran alla Corea del Nord si andrebbe sempre più distanziando dalla linea della Casa Bianca.

Non è un caso che il presidente abbia invitato tutti e due per una colazione di lavoro che sa tanto di ‘pranzo chiarificatore’, per dirsi una volta per tutte ogni cosa guardandosi negli occhi. Anche perché il rapporto tra Trump e Tillerson rischia di esplodere da un momento all’altro, al di là dei ripetuti e reciproci attestati di stima. In realtà il segretario di Stato in privato avrebbe definito il presidente “un idiota, un imbecille”.

E il tycoon se la sarebbe legata al dito, tanto che in un’intervista a Forbes spiega: “Penso sia una fake news. Ma se lo ha detto davvero dovremmo fare un test sul nostro quoziente intellettivo e confrontare i risultati. Posso già dirvi chi vincera’…”. Insomma, la tensione è alle stelle e – come spesso accade con Trump – la polemica rischia velocemente di scivolare sul personale.

Col presidente imbufalito anche per le imbarazzanti vicende sull’abuso dei voli di stato da parte del segretario al Tesoro Steven Mnuchin e del ministro della Sanità Tom Price, quest’ultimo costretto a dimettersi. Ma anche all’interno della Casa Bianca – raccontano i ben informati – il clima appare sempre più avvelenato, col presidente che si sente mal consigliato. E che non nasconderebbe la frustrazione sia per non aver avuto il ritorno di immagine sperato con i sopralluoghi nelle zone colpite dai recenti uragani, sia per la recente sconfitta elettorale in Alabama.

La paura di perdere appeal sullo zoccolo duro del suo elettorato lo tormenta. Così come non lo fa dormire il fatto che far avanzare la propria agenda in Congresso risulta sempre più difficile, isolato com’è da molti dei responsabili repubblicani.

C’è poi John Kelly, l’ex generale messo da Trump a fare il capo di gabinetto per riportare un po’ di ordine. In realtà potrebbe essere il prossimo a fare le valige: dopo il suo predecessore Michael Flynn, travolto dal Russiagate, dopo lo stratega Steve Bannon e dopo l’ex portavoce Sean Spicer.

Il tycoon sembra sia tentato dal sostituire Kelly – giudicato troppo rigido e severo – con l’amico di lunga data Tom Barrack, l’investitore di Wall Street che Trump sentirebbe al telefono ogni giorno. Del resto Barrack sarebbe oramai l’unico di cui il presidente si fida veramente, insieme al consigliere politico Stephen Miller. Tutto intorno sarebbe ormai terra bruciata.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)

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