Battisti: “Non devo scuse ai familiari delle vittime”

Da sinistra di Pierluigi Torreggiani e Lino Sabbadin (uccisi il 16 febbraio 1979), Antonio Santoro (ucciso il 6 giugno 1978) e Andrea Campagna (19 aprile 1978).
Da sinistra di Pierluigi Torreggiani e Lino Sabbadin (uccisi il 16 febbraio 1979), Antonio Santoro (ucciso il 6 giugno 1978) e Andrea Campagna (19 aprile 1978).

 

 

SAN PAOLO. – Si sente ormai brasiliano Cesare Battisti, è convinto che non verrà estradato in Italia, dove lo attendono solo “odio e risentimento”, e sul suo passato non arretra di un millimetro. Tanto che arriva a dire di non doversi scusare con i familiari delle vittime: “Tutte le morti sono deplorevoli – dice l’ex terrorista dei Pac – ma non c’è motivo che io mi scusi per qualcosa che hanno commesso gli altri”.

Condannato in Italia per quattro omicidi, Battisti, che vive da uomo libero in Brasile grazie ad un decreto firmato nel 2010 dall’allora presidente Lula, in un’intervista all’ANSA ha continuato a ribadire che la legge è dalla sua parte, escludendo “che la strada dell’estradizione sia percorribile”.

Dopo la decisione del presidente brasiliano Michel Temer di revocargli lo status di rifugiato, la parola spetta ora alla Corte Suprema brasiliana, alla quale si sono rivolti i suoi avvocati. E Battisti, nonostante le dichiarazioni del ministro della Giustizia convinto che l’ex terrorista abbia “rotto il rapporto di fiducia con il Brasile”, ostenta sicurezza.

“Nel 2011 il Supremo Tribunale Federale ha riconosciuto la validità del decreto Lula, che rifiutava l’estradizione. Ritengo assolutamente impensabile che la Corte Suprema possa ora rovesciare la propria decisione”. Anche perché in Italia l’ex terrorista è convinto che non sarebbe al sicuro:

“Molti politici, poliziotti, guardie carcerarie e altri membri dello Stato italiano – ha accusato – hanno detto chiaramente che vorrebbero vedermi morto. Nel 2009 l’allora ministro della Difesa Ignazio La Russa disse davanti ai giornalisti che avrebbe voluto torturarmi con le sue mani”.

E da allora, ha assicurato, “sono stato minacciato, così come i miei avvocati”. Per questo si è detto certo che in caso di estradizione non porterebbe mai la sua nuova famiglia brasiliana in Italia: “Mio figlio ha quattro anni, è figlio di una brasiliana, quindi portarlo in Italia significherebbe allontanarlo dalla sua cultura e dai suoi affetti. E inoltre è ovvio che in Italia nessuno collegato a me sarebbe al sicuro o comunque ben visto. I miei fratelli sono stati più volte provocati. Alcuni anni fa la polizia ha arrestato mia sorella e mia cognata”.

Diversa la situazione in Brasile “simpatico, fraterno sostenitore”. Un paese che “dà un grande esempio di gentilezza all’umanità” e nel quale l’ex terrorista intende rimanere, se non verrà concessa all’Italia la sua l’estradizione.

(di Lucas Rizzi/ANSA)

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