Usa: giudice blocca anche l’ultimo “travel ban” di Trump

No ban. EPA/ALBA VIGARAY
No ban. EPA/ALBA VIGARAY

 

WASHINGTON. – Nuovo stop giudiziario anche alla terza ed ultima versione del ‘travel ban’ varato da Donald Trump in nome di un'”America più sicura’. Questa volta è stato un giudice federale delle Hawaii a bloccare temporaneamente gran parte del provvedimento, che sarebbe dovuto entrare in vigore alla mezzanotte ora di Washington (le 6 in Italia).

Una battuta d’arresto che ripropone l’interrogativo di fondo se il presidente abbia o meno l’autorità per intervenire in materia. Domanda alla quale con ogni probabilità risponderà la Corte suprema, dove finirà anche questo ennesimo scontro legale. Per la Casa Bianca la decisione è “pericolosamente errata”. In ogni caso si tratta di una nuova, imbarazzante debacle per l’amministrazione Trump.

Il giudice, Derrick K. Watson, ha congelato il bando per sei degli otto Paesi indicati: Siria, Libia, Iran, Yemen, Ciad e Somalia, tutti a maggioranza musulmana. Restano intatte invece le limitazioni per la Corea del nord e il Venezuela, che peraltro non erano state impugnate.

Il bando, si legge nelle 40 pagine di motivazione del giudice, “soffre precisamente delle stesse malattie di quello precedente: manca di prove sufficienti del fatto che l’ingresso di oltre 150 milioni di cittadini da sei Paesi specifici sarebbe dannoso agli interessi degli Usa”. Non solo. L’ordine esecutivo di Trump “discrimina chiaramente sulla base della nazionalità” in un modo che contrasta con la legge federale e con i principi fondanti di questa nazione”. Insomma, una decisione non documentata e razzista.

Autore del ricorso, come nei casi precedenti, lo Stato delle Hawaii, insieme all’International Refugee assistance project ed altri enti. Trump, questa la motivazione dell’impugnazione, è andato oltre i suoi poteri nel definire la politica sull’ immigrazione, e la sua ultima misura, come le due precedenti, attua l’incostituzionale promessa elettorale di un bando contro i musulmani.

Il provvedimento, secondo le Hawaii, “eccede i limiti sull’autorità esclusiva del presidente che sono stati riconosciuti per quasi un secolo, soppiantando le politiche sull’immigrazione del Congresso con un bando unilaterale e illimitato del presidente”. E, sostengono i ricorrenti, “continua a realizzare la promessa non rinnegata di escludere i musulmani dagli Stati Uniti”.

Molti esperti ritenevano che l’ultima versione del bando fosse meno vulnerabile anche per l’aggiunta di due Paesi non musulmani. Ma nel ricorso si sostiene che si tratta di una mossa prevalentemente simbolica perche’ i nordcoreani che viaggiano negli Usa sono davvero pochi, mentre le restrizioni per il Venezuela riguardano solo alcuni dirigenti governativi e le loro famiglie.

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