Pensioni, il Pd in campo: “Rinviare il nuovo scatto di età”

Una manifestazione di protesta di pensionati mostrando cartelli con la scritta NO.
Una manifestazione di protesta di pensionati mostrando cartelli con la scritta NO.

ROMA. – Il Partito democratico scende in campo per stoppare lo scatto automatico dell’età pensionabile. A prendere posizione è il vicesegretario del partito Maurizio Martina, che chiede un “rinvio” del passaggio a 67 anni dal 2019, così da rimettere mano alle regole. Partendo dal fatto che “non tutti i lavori sono uguali”.

Una mossa che avrebbe ‘irritato’ il governo, che non più di due settimane fa per voce del premier Paolo Gentiloni e del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan aveva ribadito che sugli scatti dell’età andava rispettata “la legge in vigore”. Anche per non dare a Bruxelles l’impressione di voler venire meno agli impegni presi sul fronte previdenziale, che ha un impatto molto rilevante sui conti.

Un compromesso lo suggerisce il presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, spiegando che “non ci sarebbe nulla di scandaloso” se “il Parlamento decidesse per un time out sull’aumento indistinto dell’età pensionabile finalizzato a individuare fasce ‘sottraibili’ al meccanismo automatico”.

Intanto le casse pubbliche evitano una batosta da 30 miliardi, perché la Consulta ha salvato il bonus Poletti sulla rivalutazione delle pensioni sopra i 1.500 euro. E l’Istat apre una questione ‘donne’, visto che quasi la metà non riesce a prendere neppure un assegno da mille euro al mese e il 16% è completamente a secco.

Il filone pensioni dunque, in un clima oramai ‘pre-elettorale’, si surriscalda. Matteo Renzi, in tour col treno Pd, senza entrare nel merito, sottolinea che il tema pensioni è uno di quelli su cui viene più sollecitato dai cittadini. Ed è il vicesegretario Dem Martina a posizionare il partito contro uno scatto impopolare come quello che ha fatto slittare di cinque mesi l’uscita per vecchiaia: “Non tutti i lavoratori hanno la stessa aspettativa di vita per le mansioni che fanno”, dice Martina. E proprio per questo propone un rinvio.

Anche perché, spiega il ministro dell’Agricoltura, “i tempi” per una discussione parlamentare, e una eventuale revisione del meccanismo, “ci sono”. In effetti lo scatto d’età partirebbe solo dal primo gennaio del 2019. Tuttavia, stando alla legge, il provvedimento che certifica l’aumento a 67 anni va varato entro la fine dell’anno.

Ecco che se si vuole intervenire un primo passo va fatto subito, perché anche una semplice ‘pausa di riflessione’ sul tema ha bisogno di una misura che rimandi il decreto in questione. E la strada più diretta da prendere coincide con la manovra. Il pressing delle forze politiche è alto e non conosce colore.

Per il renziano Lorenzo Guerini, coordinatore della segreteria dem, “le regole vanno ripensate” e contro lo scatto si levano anche altre voci democrat, da Gianni Cuperlo al ministro della Giustizia Andrea Orlando. I presidenti delle commissioni Lavoro di Camera, Cesare Damiano, e Senato, Maurizio Sacconi, sono sempre pronti. “Cambiare la legge Fornero” è il motto della Lega di Matteo Salvini. Mentre Mdp con Roberto Speranza chiede di agire in legge di Bilancio.

La manovra viene dunque tirata in ballo. Martina indica anche un exit strategy, che somiglia a quella suggerita dai sindacati. Bloccare il rialzo per i lavoratori ‘stressati’. Il punto di caduta tra la necessità di non stravolgere la legge Fornero e valutare alcuni ammorbidimenti potrebbe essere quella di sancire un mese o due di ‘time out’ durante il quale il governo, a un tavolo con le parti, potrebbe individuare categorie, ristrette, da esentare dall’automatismo, sulla scia dell’Ape social, dagli infermieri alle maestre d’asilo – mentre sull’Ape social, dall’Inps arriva un’apertura che allarga un po’ le maglie.

Se la frenata dei vertici democrat sull’età pensionabile è arrivata un po’ a sorpresa, ha invece confermato i pronostici il ‘verdetto’ della Corte Costituzionale. La Consulta ha infatti salvato, giudicando legittimo, il decreto che nel 2015 restituì parte della mancata rivalutazione per le pensioni sopra 1.500 euro. Il decreto, che rimediò sempre a una sentenza della Corte, secondo i giudici “realizza un bilanciamento non irragionevole” tra diritti dei pensionati e le esigenze di finanza.

La Consulta sul punto non si sarebbe divisa, il voto sarebbe stato “compatto”, a differenza della pronuncia sulla riforma Fornero (quando si spaccò a metà). Una vittoria per il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che esprime “soddisfazione”.

(di Marianna Berti/ANSA)