Il procuratore attacca la teoria delle Fake News di Trump

Un primo piano del procuratore generale Robert Mueller durante il giuramento.
Il procuratore generale Robert Mueller
Il procuratore generale Robert Mueller

 

 

WASHINGTON.- Anche oggi il presidente degli Stati Uniti Donald Trump affida a Twitter la sua verità. “No collusione” scrive sul social network e la sua portavoce Sarah Sanders lo ripete dal podio della sala stampa alla Casa Bianca. La linea di difesa è chiara, ma dopo le accuse formulate dal procuratore generale Robert Mueller a Paul Manafort e Rick Gates per il tycoon sarà più difficile sollevare la denuncia fino ad ora costante di ‘Fake News’ nei confronti del cosiddetto Russiagate, le presunte ingerenze di Mosca nelle elezioni Usa, più volte additato dal presidente come una bufala.

Con le prime incriminazioni nell’inchiesta dell’Fbi e 12 capi d’accusa verso Manafort e Gates, si apre il primo capitolo di un viaggio che si prospetta lungo e tortuoso, nella Washington dei lobbisti come nella giustizia americana, e dall’esito tutt’altro che scontato. Il lavoro di ‘Bob’ Mueller, nominato lo scorso maggio, ha però già messo sotto attacco proprio quella teoria delle ‘Fake News’ che Donald Trump ha alzato come scudo contro gli avversari politici prima e come riparo da sospetti e accuse dopo, ma che rischia di sgretolarsi con le prime scosse di questo terremoto.

Il primo segnale è il fatto che l’escalation sia maturata dopo soli cinque mesi di lavoro da parte della squadra di Mueller: a cadenza regolare, nell’estate, erano emerse notizie di mandati e perquisizioni presso l’abitazione di Manafort in Virginia, alle porte della capitale.

Di fatto poche settimane prima di formulare le accuse per Manafort e Gates pesantissime, ma che risultano ancora più dirompenti quando affiancate dalla dichiarazione di colpevolezza di George Papadopolous, collaboratore volontario della campagna per l’elezione di Trump che, ammettendo di aver mentito alla Fbi circa i suoi contatti con esponenti russi, fornisce fino ad ora la sponda più concreta a chi è in cerca della ‘pistola fumante’.

Dal dossier adesso reso pubblico risulta così che l’Fbi era arrivata a Papadopolous già all’inizio dell’estate e a luglio lo aveva arrestato. Il meccanismo è innescato ed è irrefrenabile, tanto più che da più parti – tra avvocati e portavoce – dalla Casa Bianca si fa sapere che Donald Trump non ha intenzione di licenziare o far licenziare Mueller.

Notizia apparentemente pleonastica, ma troppo evocativa a Washington per non ripeterla a tambur battente nelle dirette non stop delle all news, evocando quel ‘Saturday Night Massacre’, (il massacro del sabato sera) innescato con l’ordine partito dal presidente Richard Nixon per il licenziamento dell’allora procuratore speciale Archibald Cox.

(di Anna Lisa Rapanà/ANSA)