Torino, la folla impazzì nella notte Champions per paura di un attentato

Piazza San Carlo dopo la pazza fuga dei tifosi.
Piazza San Carlo dopo la pazza fuga dei tifosi. ANSA/ALESSANDRO DI MARCO
Piazza San Carlo dopo la “pazza” fuga dei tifosi.
ANSA/ALESSANDRO DI MARCO

 

TORINO. – Non furono i caroselli dei tifosi in festa ma le sirene delle ambulanze ad accendere la sera del 3 giugno scorso. Non furono i colori bianconeri ma le strisciate rosso sangue a dipingere le strade del centro storico di Torino. Erano più o meno le 22:15 quando piazza San Carlo, dove non meno di 30mila persone si erano ammassate per seguire su maxischermo la finalissima di Champions tra la Juventus e il Real Madrid, venne scossa da tre ondate di panico consecutive. Ancora.

Fu la paura di un attentato terroristico, come scrivono i magistrati che da cinque mesi cercano di far luce sugli eventi. La folla impazzì. Chi venne schiacciato contro le transenne, chi si squarciò braccia e piedi sul tagliente tappeto di cocci di bottiglia.

“Una massa di gente mi ha travolto e mi è salita letteralmente sopra”, disse Vincenzo M., 38 anni, torinese, nella sua denuncia in procura. Il piccolo Kelvin, di 7 anni, figlio di una coppia di immigrati cinesi, fu salvato da Mohammad, di professione bodyguard, che lo estrasse dal groviglio dei corpi, e da Riccardo, di professione soldato, che gli si accovacciò sopra per proteggerlo.

Negli ospedali scattò il piano di maxi-emergenza sanitaria previsto per le grandi calamità: quando terminarono le bende, le garze, gli aghi e il filo per le suture, i pazienti vennero dirottati nei pronto soccorso della provincia. I feriti furono 1.526. Nell’immediatezza toccavano quota 1.527, ma Erika Pioletti, 38 anni, di Domodossola, impiegata in uno studio di commercialisti, in piazza solo per accompagnare il fidanzato, morirà il 15 giugno.

Per molti il 3 giugno non è ancora passato. Ansia, mancanza di sonno, depressione e crisi claustrofobiche scandiscono le giornate di chi ha patito il trauma: c’è chi afferma di non riuscire nemmeno ad andare al cinema.

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