Paradise Papers inguaiano il principe Carlo, soldi in fondi offshore

 

 

NEW YORK. – “Una bomba atomica” che Donald Trump è pronto a sganciare su Apple, Nike, Ford, Pfizer e molti altri colossi ‘made in Usa’. Così gli esperti definiscono la supertassa del 20% che la Casa Bianca vuole imporre alle multinazionali che dirottano i soldi all’estero per pagare meno tasse negli Stati Uniti.

Una stretta anti-elusione che si preannuncia nel pieno della bufera sui Paradise Papers, il dossier che dall’altra parte dell’Oceano rischia di inguaiare sempre di più la Casa Reale britannica. Le ultime rivelazioni, dopo quelle che hanno imbarazzato la regina, riguardano il principe Carlo, che avrebbe investito milioni di sterline in fondi e società offshore. Tra queste ultime una alle Bermuda gestita – come rivela il Guardian – da uno dei suoi migliori amici, un allevatore di cavalli milionario conosciuto dall’erede al trono d’Inghilterra negli anni Sessanta.

Intanto anche i duchi di Westminster, la facoltosa famiglia nobile proprietaria di un impero immobiliare nel Regno Unito, è stata coinvolta nelle rivelazioni dei Paradise Papers: milioni di sterline dei loro dividendi sarebbero stati dirottati in società con sede alle Bermuda e a Panama. Una grana per uno dei clan più potenti i cui affari sono in mano al 26enne Hugh Grosvenor, il miliardario più giovane del Paese.

Se Londra trema, Washington vuole mostrare il pugno duro. La ‘maxi-aliquota’ spuntata a sorpresa nel testo della riforma fiscale presentata dai repubblicani al Congresso si stima possa garantire allo stato federale entrate per circa 155 miliardi di dollari nell’arco di dieci anni. Nel mirino di questa stretta anti-elusione, fortemente voluta dalla Casa Bianca, ci sono tutte le holding che versano denaro nelle casse di società affiliate o controllate che operano fuori dei confini nazionali, spesso in veri e propri paradisi fiscali.

Del resto Trump fin dai tempi della campagna elettorale aveva promesso di intervenire contro i ‘furbetti’ del fisco, da Wall Street alla Silicon Valley. Se dovesse passare, la supertassa verrebbe in pratica applicata a tutte le multinazionali che si rifiutano di assoggettare le loro realtà estere alla giurisdizione dell’Irs, l’agenzia delle entrate statunitense.

I rischi sono però elevati. Innanzitutto – fanno notare molti osservatori – c’è quello di alimentare una guerra commerciale con altri Paesi che potrebbero tassare le loro imprese che importano dagli Usa. Gli investitori, poi, temono chiaramente una flessione degli utili, mentre per i consumatori il pericolo è quello di un aumento dei prezzi dei beni importati.

Dalle carte dei Paradise Papers, infine, emerge anche il nome di Steve Bannon, l’ex stratega della Casa Bianca e strettissimo consigliere di Donald Trump. Secondo i documenti il miliardario Bob Mercer, finanziatore di Breitbart News, il magazine diretto da Bannon, sarebbe a capo di otto società alle Bermuda create per non pagare milioni di dollari al fisco. Una parte di questi soldi sarebbe stata usata anche per finanziare il libro ‘Clinton Cash’, dietro al quale ci sarebbe Bannon. Libro uscito in campagna elettorale e in cui si accusa Hillary Clinton di aver ottenuto donazioni per la fondazione di famiglia in cambio di favori.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)