La crisi dell’acciaio italiano, motore dell’industria manifatturiera

Crisi dell'acciaio italiano.
Crisi dell’acciaio italiano.

 

 


ROMA. – L’acciaio italiano, motore dell’industria manifatturiera, si trova in una fase di stallo. Sul passaggio del gruppo Ilva alla cordata AmInvestCo, guidata all’85% dal colosso franco-indiano ArecelorMittal, grava la spada di Damocle del giudizio dell’Antitrust Europeo; mentre l’acciaieria di Piombino (ex Lucchini), dopo essere sprofondata nelle sabbie mobili di un piano di riqualificazione, promesso ma mai partito, si ritrova adesso in balia di una vertenza legale per rescissione del contratto di vendita, dovuto a inadempimento da parte di Aferpi controllata dall’algerina Cevital.

“Vogliamo convincere l’Antitrust Ue della validità del nostro progetto per Ilva. Con la Commissione Ue stiamo trattando riga su riga”. ha detto il vice presidente di ArcelorMittal e Amministratore delegato di Am InvestCo, Matthieu Jehl sentito in commissione Industria al Senato.

Il manager non ha voluto dire di più sulle trattative in corso con la Commissione alla Concorrenza guidata da Margrethe Vestager. “No comment” anche sulle indiscrezioni secondo le quali l’Antitrust Ue, per dare il proprio ok all’operazione, avrebbe chiesto l’uscita del gruppo Marcegaglia da Am InvestCo e la vendita dello stabilimento di La Magona di proprietà di ArcelorMittal.

Nel corso dell’audizione Jehl, illustrando sommariamente ai senatori il piano ambientale e industriale per Ilva, ha sottolineato a più riprese l’interesse di ArcelorMittal ad acquisire gli asset di Ilva. Questi andrebbero a formare la quarta divisione europea di ArcelorMittal Europe con base a Taranto e un centro di alta qualità a Cornigliano e Novi Ligure in sinergia con il centro siderurgico francese di Fos-sur-Mer.

Rebus sic stantibus, la fusione di Ilva con ArcelorMittal sembra dipendere solo da quello che quest’ultima è disposta a offrire sul tavolo del regolatore Ue per contrastare l’altra grande fusione dell’acciaio, fra Tata e ThyssenKrupp, sulla quale l’antitrust europeo sarà pure chiamata a pronunciarsi.

Quanto a Piombino, la situazione, dopo due anni di nulla di fatto, sembra destinata a incagliarsi sugli scogli di una causa per recessione della vendita dovuta a inadempimento da parte dell’acquirente Aferpi (controllata da Cevital), causa avviata dal ministro Carlo Calenda, e nella quale Cevital è determina a difendersi. “Siamo rimasti sorpresi dalla decisione del ministro Calenda. Pensiamo che questo tipo di strada avrà solo una vittima, i 2000 dipendenti, appesi per anni alle decisioni della giustizia” afferma Said Benikene, ad di Aferpi e di Cevital che si dice determinato a difendersi.

“Crediamo nel nostro progetto di rilancio delle acciaierie di Piombino” e “stiamo continuando a lavorare per presentare il nostro piano industriale entro la fine di dicembre, come previsto dall’addendum” ha aggiunto Said Benikene. Peccato che siano rimasti in pochi a credergli. “Sono stanco di essere preso in giro” ha detto Calenda, suggellando così qualche giorno fa la decisione di rompere i rapporti con l’imprenditore algerino.

(di Maria Gabriella Giannice/ANSA)