Sul Milan la scossa di Gattuso: “Qui sto in Paradiso”

Gennaro Gattuso.
Gennaro Gattuso. EPA/OLIVIER MAIRE
Gennaro Gattuso. EPA/OLIVIER MAIRE

 

MILANO. – Promette di ”dare battaglia” per tenersi ”il posto in Paradiso” ma chiede di non limitarsi a ricordare il Gattuso calciatore, ”tutto cuore e grinta”. La terza vita di Gennaro Gattuso al Milan inizia con una speranza detta con il sorriso, sdrammatizzando precedenti (sei allenatori in quattro anni) che risuonano inquietanti e che coinvolgono suoi ex compagni di squadra (Seedorf, Inzaghi e Brocchi): ”Speriamo di non fare la stessa fine, non mi curo del rischio di bruciarmi, voglio vivere da protagonista. La chiave del successo è nascosta nelle foto sparse per Milanello. Si è persa la forza della storia, non bisogna dimenticare il Dna, le regole e le usanze del club. Per giocare a calcio bisogna fare fatica”.

Parole che trasporta sul campo: primo allenamento più corto ma molto più intenso rispetto al passato, più urla e meno fischietto. Il solco di Montella viene abbandonato immediatamente: ”Non giudico il suo lavoro ma ho una visione del calcio diversa”.

Alla fine la ”scossa” chiesta da Fassone e Mirabelli è proprio questa: addio ai sorrisi, perchè ”quando si perde Milanello deve diventare un funerale”, e al politicamente corretto con un esplicito ”deve bruciare il c…”. Ma soprattutto saluti al palleggio prolungato e al possesso palla: ‘in zona gol bisogna verticalizzare e sorprendere le difese”, dice Gattuso.

Ecco emozioni da vivere (”il mio sogno continua”) e nuovi principi da trasmettere al gruppo (”ho chiesto senso di appartenenza e disciplina, i giocatori si devono buttare nel fuoco per i compagni”). Inizia con toni morbidi, stringe le mani a tutti i giornalisti perchè ”mi hanno insegnato così”, ma poi si libera di occhi lucidi e di questi panni inediti e torna il Gattuso di sempre: non vuole essere giudicato con clemenza (”sarebbe riduttivo, il patentino non me lo hanno regalato”) ma non si sente nemmeno un allenatore di passaggio: ”non sono un traghettatore, ci sono ancora 72 punti”.

Con orgoglio ripercorre le tappe della carriera, ammettendo errori di valutazione ”per troppa passione” come l’esperienza a Creta e Pisa, dove ”ha preso legnate”, e si scalda quando aleggia nell’aria la parola ”inesperto”: ”ho più di cento partite alle spalle, la fortuna l’ho trovata con il lavoro duro”.

La ricetta di Gattuso per riportare il Milan in alto è quella imparata ai tempi di Berlusconi. Rivela i consigli dell’ex presidente, un ”gioca con due punte”, e aspetta un traduttore per parlare con Yonghong Li (”Non parla inglese e nemmeno il calabrese”) e intanto chiede vittorie, alzando subito i toni: ”con il Benevento è come la finale di un Mondiale”.

Poi passa al campo, con un avvertimento per tutti quanti: non esistono gerarchie definite, né moduli fissi. Insisterà con la difesa a tre. ”Dobbiamo diventare squadra, dimostrare di saper soffrire, serve uno spirito battagliero”. Poi i messaggi personalizzati: ”Bonucci resta capitano, Cutrone ha il veleno, mi rivedo in Kessie e Silva ha qualità e grande mercato in Europa”.

La ricetta è ”picchiare duro”, come suggeritogli via sms da decani come Sacchi, Capello e Ancelotti. Una filosofia per cui Gattuso ”chiede scusa” in anticipo ai giocatori. Regole, fermezza e personalità: una ricetta giusta per un Milan sottosopra, carico di dubbi e incognite.

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