Colpo a rete di riciclaggio, jihadista ha mosso 100 milioni

Guerra jihadista con lo smartphone. Jihad
Guerra jihadista con lo smartphone.
Colpo a rete riciclaggio jihadista

 

 


MILANO. – L’ombra di un fiume di denaro che sarebbe servito a finanziare il terrorismo islamico si trova negli atti di un’inchiesta milanese che ha portato in carcere 13 persone, egiziani, siriani e marocchini, che gestivano una sorta di “società di servizi”, con base anche a Milano, per movimentare i profitti illeciti di trafficanti di armi, droga e esseri umani con il metodo ‘hawala’, sistema di compensazioni senza trasferimento fisico dei soldi, nato nel mondo arabo.

Nelle carte emerge, infatti, la figura di un libico, ora irreperibile, “contiguo ad ambienti di integralismo islamico” che avrebbe trasportato contanti “sulla rotta Libia-Italia-Europa” per “oltre 100 milioni di euro”. L’indagine, condotta dal Nucleo di polizia tributaria della Gdf e coordinata dai pm Alberto Nobili e Adriano Scudieri, ha smantellato con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio un “network” che ha movimentato 10 milioni di euro (4 milioni i presunti ricavi illeciti) tra Italia, Marocco, Egitto, Libia e Ungheria (dove sono stati arrestati tre siriani).

Inchiesta che è scattata proprio dopo un controllo nei confronti del libico, Salem Bashir Mazan Rajah. Il 22 maggio del 2015, l’uomo dichiarò alla dogana dell’aeroporto di Linate di avere con sé 297 mila euro in contanti. Gli venne sequestrato il cellulare nel quale, oltre a foto e immagini inneggianti anche all’Isis, vennero trovate email che alimentano, come scrive il gip Teresa De Pascale, “l’ipotesi che l’indagato abbracci il ‘wahabismo islamico’”.

Denunciato per riciclaggio, spiega il gip, Rajah ora “non risulta più presente sul territorio nazionale”, ma dagli accertamenti è emerso che, tra il 22 e il 29 maggio di due anni fa, alloggiò in quattro hotel di Milano e che il 23 maggio la sua utenza telefonica era in via Padova.

In più, “l’esame delle banche dati tedesche e francesi”, ricostruisce il gip, “permetteva di accertare” che il libico “tra il 2013 e il 2015, aveva introdotto, mediante dichiarazioni doganali, circa 20 milioni di euro in Germania, altrettanti in Francia, dieci milioni in Italia ed un milione in Olanda, per un totale di oltre 50 milioni”. Secondo il giudice, il calcolo “complessivo” dei contanti da lui trasportati tra Libia, Italia e Europa “ammonta ad oltre 100 milioni”.

Sul suo telefono, si legge negli atti (in parte anche omissati), sono stati trovati contatti con un uomo “sottoposto a indagini in Belgio per riciclaggio e associazione terroristica” e con altri legati a un militante dell’Isis di Rotterdam in Olanda. “La pista del finanziamento al terrorismo – ha spiegato il pm Nobili, a capo del pool antiterrorismo – non ha trovato riscontri precisi, ma l’inchiesta va avanti”.

Dalle carte risulta che nelle attività del gruppo dei “broker-hawala” arrestati, che mettevano a disposizione dei “clienti” criminali la “struttura bancaria clandestina”, vi sarebbero state “infiltrazioni di organizzazioni jihadiste” derivanti da contatti con il libico, il quale “potrebbe rivestire un ruolo di trasportatore di denaro” per conto “di gruppi terroristici riconducibili alla jihad”.

I terroristi islamici, conclude il gip, “raccolgono fondi per compiere i loro attentati in Paesi diversi da quelli scelti come obiettivi dei loro attacchi”, trasferendo “capitali da un Paese all’altro” proprio “grazie a pratiche come l’hawala”, sistema fatto di ‘spalloni’ e “codici” per chiedere la consegna dei contanti.

(di Igor Greganti e Francesca Brunati/ANSA)