Papa: “Aung San Suu Kyi, ci dà fiducia nella pace”

Papa Francesco stringe la mano a Aung San Suu Kyi in Naypyitaw, Myanmar. ANSA/REUTERS/POOL/Max Rossi
Papa Francesco stringe la mano a Aung San Suu Kyi in Naypyitaw, Myanmar. ANSA/REUTERS/POOL/Max Rossi

 

 


NAY PYI TWA (MYANMAR). – Alcuni osservatori affermano che perseguire la pace etnica come priorità sia stato un grosso errore di Aung San Suu Kyi: non aveva gli strumenti politici per farlo, le leve della spinosa questione erano rimaste in mano ai militari. Ma la leader democratica, – e figlia del padre della patria che sognò con la conferenza di Panglong di costruire uno stato federale che integrasse tutte le minoranze – parlando di fronte al Papa e al Corpo diplomatico, convenuti nel palazzo presidenziale di Nay Pyi Taw, ha rivendicato la giustezza del proprio approccio: “non si può sopravvivere senza giustizia – ha detto – ce lo hanno insegnato i nostri padri, e come loro dobbiamo continuare la costruzione di una nazione fondata sulla legge e di istituzioni che garantiscano ciascuno, e garantiscano in ogni terra, giustizia, libertà e sicurezza”.

Queste sfide, ha spiegato, richiedono “forza, pazienza e coraggio”, ma vogliamo “far emergere la bellezza delle nostre diversità, e farne la nostra forza, proteggendo i diritti, perseguendo la tolleranza, assicurando sicurezza per tutti”. Senza timori ha citato la crisi del Rakhine, – lo stato dei “rohingya” – ricordando come abbia monopolizzato l’attenzione internazionale.

Nel Papa, poi, ha riconosciuto uno di quei “buoni amici” che aiutano la pacificazione e ha definito “inestimabile” la amicizia di questi. Le relazioni diplomatiche sono state allacciate nel maggio scorso, e dopo di ciò la “Signora” ha incontrato il Papa in Vaticano, ma i rapporti tra la fragile democrazia uscita dal voto del novembre 2015 e insediatasi ad aprile 2016 e la piccola e operosa Chiesa cattolica del Paese, sono precedenti, saldi, perseguiti con convinzione e amicizia reciproche.

La Chiesa cattolica, – che nel ’62 si vide espellere dai miliari tutti i missionari, e confiscare le opere educative e sanitarie, è oggi presente – nonostante ci siano solo circa settecentomila fedeli – sulle frontiere sociali del Paese, assiste poveri e profughi attraverso la Caritas, ha scuole stimate e frequentate da fedeli di ogni religione, e si espande: vocazioni in crescita e vitalità pastorale, premiate dal Papa nel 2015 con la creazione del primo cardinale di questa terra, Charles Bo, prudente sostenitore delle politiche del governo di Aung San Suu Kyi.

Soprattutto cosciente di quanto una sconfitta della leader democratica – magari per la crisi innescata dai musulmani del Rakhine, “rohingya”, a centinaia di migliaia profughi in Bangladesh – verrebbe subito sfruttata dai militari e aprirebbe scenari pericolosi per il Paese. Aung San Suu Kyi ha riconosciuto il ruolo “inestimabile” del Papa (che ha incontrato in un colloquio privato durato 23 minuti) nel sostenere la fragile democrazia birmana.

Nonostante le difficoltà del suo governo, gli enormi problemi economici e ambientali ereditati dalla dittatura, e il fatto che la sua popolarità sarebbe in calo rispetto al trionfo elettorale del 2015, la “signora”, davanti al Papa e al Corpo diplomatico ha dimostrato di essere una leader onesta, competente e credibile, e di voler sfruttare tutte le sue frecce al suo arco, per il bene del suo Paese. (questo articolo è stato scritto anche grazie alle informazioni degli analisti dello Iai, Istituto affari internazionali).

(dell’inviata Giovanna Chirri/ANSA)