Legge elettorale: strada stretta per i ricorsi alla Consulta

In una foto d'archivio del 2017 il tabellone elettronico con il risultato del voto in aula al Senato durante la fiducia posta dal governo sulla legge elettorale Rosatellum.
In una foto d'archivio del 2017 il tabellone elettronico con il risultato del voto in aula al Senato durante la fiducia posta dal governo sulla legge elettorale Rosatellum. ANSA/ANGELO CARCONI
Il tabellone elettronico con il risultato del voto in aula al Senato durante la fiducia posta dal governo sulla legge elettorale Rosatellum. ANSA/ANGELO CARCONI

 


ROMA. – È davvero molto stretta la porta che i ricorsi contro il Rosatellum dovranno oltrepassare in Corte Costituzionale il 12 dicembre per superare il filtro di ammissibilità: le possibilità di riuscita sono giudicate molto basse da diversi “addetti ai lavori”, propensi a ritenere che i quattro conflitti tra poteri dello Stato saranno dichiarati inammissibili.

A differenza di quanto accadde con il Porcellum e poi con l’Italicum, stavolta non sono stati Cassazione e giudici di merito a investire la Corte Costituzionale, ma il Codacons, alcuni parlamentari e i capigruppo dei Cinquestelle che agiscono contro la Camera di appartenenza.

E in discussione non c’è il contenuto delle nuove regole, ma il modo in cui sono state approvate, con il ricorso alla fiducia da parte del governo. Una procedura che, secondo i ricorrenti, comprimendo il dibattito parlamentare avrebbe violato le prerogative costituzionali di deputati e senatori e dell’intero corpo elettorale.

In questa fase, però la Corte non deve entrare nel merito di questo profilo, ma deve stabilire se i ricorsi siano ammissibili; e cioè se chi li ha presentati rappresenta effettivamente un potere dello Stato e se esiste realmente la materia del conflitto.

Se questi requisiti non saranno soddisfatti, la partita sul Rosatellum in vista delle prossime elezioni si chiuderà qui. In caso di ammissibilità, invece, sulla campagna elettorale già in atto calerà una spada di Damocle in attesa che la Corte decida se il ricorso al voto fiducia sia stato legittimo o meno. Ipotesi, quest’ultima, che travolgerebbe l’intera legge elettorale alla radice.

Alcuni giuristi ritengono che il conflitto possa e debba essere ammesso, perché, come sostiene Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Corte costituzionale, “la ferita inferta dalla legge elettorale alla sovranità popolare e alle attribuzioni del corpo elettorale è di tale entità che non è possibile non dichiarare l’ammissibilità del ricorso”. Convinzione che sorregge anche i legali che hanno curato il ricorso dei Cinquestelle, in testa Felice Besostri, già promotore delle azioni contro Porcellum e Italicum.

Ma in molti sollevano dubbi. E per il costituzionalista Stefano Ceccanti “i ricorrenti sembrano aver preso troppo alla lettera l’affermazione evangelica ‘chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto'”. Non solo. “I ricorrenti lamentano una menomazione che riguarda le modalità di svolgimento dei lavori parlamentari come disciplinati da norme e prassi regolamentari” che di per sè non vietano il ricorso alla fiducia per le leggi elettorali. Ma “la legittimazione soggettiva di singoli parlamentari quando ci si riferisca alla violazione dei Regolamenti e delle prassi non esiste”.

C’è poi da chiedersi, come fa il costituzionalista Massimo Villone e come farà anche la Corte, se giudicare ammissibili i ricorsi non “comporti in astratto la legittimazione di uno o più parlamentari a sollevare conflitto tra poteri per qualunque legge” e se questo non trasformi il conflitto da “strumento eccezionale” a “ordinario strumento di lotta politica”. Un’argomentazione che rischia di chiudere del tutto una porta già angusta.

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