Scontro in Europa sul futuro delle quote sui migranti

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BRUXELLES. – E’ scontro nell’Unione europea sulle quote obbligatorie per il ricollocamento dei richiedenti asilo. A riaccendere la miccia è stata la bozza di una lettera del presidente del consiglio europeo Donald Tusk, ai leader dei 28, per guidare la discussione della cena al summit di giovedì, in cui implicitamente suggerisce di abbandonare il meccanismo previsto dalla proposta della Commissione Ue, perché “inefficace” e “divisivo”.

Una mossa che ha fatto insorgere non soltanto numerosi Paesi, dall’Italia alla Germania, dall’Olanda alla Spagna, ma lo stesso esecutivo comunitario, che per bocca del commissario alla Migrazione Dimitris Avramopoulos ha definito il documento “anti-europeo”, “inaccettabile”, una picconata al principio di solidarietà.

Il pressing è stato così forte da determinare, in serata, un ‘ammorbidimento’ nel linguaggio della lettera, poi pubblicata ufficialmente. Intanto la presidenza ungherese dei Visegrad, da sempre contrari alle relocation (tanto che tre di questi, Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria sono stati di recente deferiti alla Corte Ue per non aver rispettato i propri obblighi) ha organizzato un incontro pre-vertice tra i quattro leader, il premier Paolo Gentiloni, e il presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker per annunciare un “sostanziale” contributo al Fondo fiduciario per l’Africa.

Il loro modo di dimostrarci solidarietà e mostrare un ramoscello d’ulivo. Ma sullo sfondo restano le proteste erano partite lunedì pomeriggio, quando alla riunione degli sherpa Ue, i rappresentanti di varie cancellerie, inclusa Roma e Berlino, hanno preso la parola per sottolineare come il senso della lettera di Tusk sulle quote fosse “contro il Consiglio e la Corte Ue”.

Il Consiglio infatti quelle quote le aveva votate a maggioranza qualificata nel 2015; mentre la Corte di giustizia, alcuni mesi fa aveva giudicato il sistema adeguato ad affrontare le situazioni di crisi, avallando la proposta della Commissione europea per la riforma del regolamento di Dublino, e bocciando i ricorsi di Slovacchia e Ungheria.

Alla riunione di lunedì sono volati gli stracci anche tra i rispettivi bracci destri di Tusk, Piotr Serafin, e del presidente della Commissione Jean Claude Juncker, Martin Selmayr. Uno scontro tra istituzioni Ue, col tentativo di Tusk, di marginalizzare il ruolo della Commissione, avocando a sé, tra l’altro, l’iniziativa di proporre “la strada da seguire”, se per giugno 2018 i Paesi non avranno trovato una “soluzione consensuale” sulla riforma del regolamento di Dublino.

Una visione, quella di Tusk, sostenuta solo dai Visegrad. Di fronte alla reazione anche dei numerosi ministri al consiglio Affari generali di oggi (quello di preparazione al vertice) che hanno “rimandato a settembre l’approccio”, come ha spiegato il sottosegretario agli Affari europei Sandro Gozi, il gabinetto del presidente del consiglio europeo ha fatto qualche passo indietro, apportando modifiche al testo. Fonti Ue avvertono: il testo è cambiato, ma non la visione di Tusk. Meglio non abbassare la guardia.

(di Patrizia Antonini/ANSA)