Migranti: mappate le buone pratiche di integrazione

Migranti: mappate buone pratiche di integrazione
Migranti: mappate buone pratiche di integrazione

 

 


ROMA.- L’Italia è il Paese con il più alto numero in Europa di “community building”, iniziative locali che diffondono la cultura dell’inclusione promuovendo l’intercultura attraverso attività di vario genere che hanno la finalità di agevolare l’interazione tra cittadini e migranti forzati.

E’ quanto emerge dalla “mappatura” realizzata con il progetto Best (Promoting best practices to prevent racism and xenophobia toward forced migrant through community building) nell’ambito del quale si è sviluppata la ricerca “I get you”, promosso dal Jesuit refugee service Europa che ha preso in esame 9 Paesi europei nell’arco di 24 mesi.

A fine luglio 2016, dunque, in Italia si contavano 62 iniziative di community building, contro le 55 in Francia, le 50 in Germania, le 37 in Belgio, le 31 in Spagna, le 20 a Malta, le 15 in Romania e le 14 in Croazia. Per quanto riguarda l’Italia, le iniziative di accoglienza dal basso si distribuiscono così: 25 al Nord, 28 al Centro e 9 al Sud. La maggior parte di esse (53) hanno portata locale, 7 fanno invece parte di un’iniziativa più ampia a carattere nazionale e 2 operano in una dimensione regionale.

Basso generalmente il budget delle iniziative: Quarantuno su 62 svolgono le attività con meno di 25 mila euro l’anno. I fondi per il loro funzionamento provengono essenzialmente da privati, da fundraising e raccolta fondi gestita da volontari ma in 15 casi le community building ricevono sostegno parziale e totale da fondi pubblici.

Il numero dei beneficiari è molto variabile, ma la maggior parte dei migranti coinvolti sono richiedenti o titolari di protezione internazionale. Per la maggior parte si tratta di giovani nella fascia di età 19-25 anni. Le nazionalità più rappresentate sono il Mali, la Nigeria, il Gambia, il Pakistan e l’Afghanistan e l’Eritrea.

Il 37% delle iniziative mappate hanno descritto come propria azione principale l’organizzazione di “attività interculturali”. Sono 15 le iniziative che riguardano la sfera del tempo libero e delle attività ricreative: sport, escursioni, musica, cucina e analoghe occasioni che offrono a volontari e migranti l’opportunità di trascorrere del tempo insieme, accomunati da una passione o da un interesse. Il 22,5% delle iniziative sono poi in qualche modo connesse con l’apprendimento della lingua italiana.

Declinate con modalità estremamente varia, ad esempio in famiglia, in istituti religiosi, in appartamenti indipendenti o in strutture dedicate, il 19% delle iniziative offrono esperienze di convivenza volte a facilitare la creazione di relazioni positive con il territorio.

“I risultati della ricerca I Get you – spiega il Centro Astalli, partner italiano della ricerca – mostrano che le iniziative di community building incoraggiano incontri tra i cittadini e i migranti forzati e promuovono modelli originali di collaborazione tra cittadini e autorità locali”.

“La dimensione dell’incontro – dice in proposito padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli – è un cardine della costruzione della comunità, perché finché io sento numeri e vedo immagini che non mi toccano personalmente non vengo coinvolto. Ma quando io incontro una persona, la guardo, sento la sua storia costruisco qualcosa con lei e questo cambia anche il modo di pormi nei suoi confronti”.

Di iniziative del genere, in Italia, secondo padre Ripamonti, “c’è molto bisogno. Quando si parla di immigrazione siamo abituati a declinarla ormai in senso negativo invece sentire parlare di costruzione di comunità è molto importante per creare un clima più sereno e pacificante. La via non è contrapporre le parti ma camminare insieme”.

(di Nina Fabrizio/ANSA)