Cina: Banca centrale la prima ad agire dopo la stretta Fed

 

 


PECHINO.- La Banca centrale cinese (Pboc) ha risposto al terzo intervento del 2017 della Federal Reserve e al rialzo di 25 punti base dei tassi d’interesse, all’1,25-1,50%: la doppia azione, a breve e medio termine, ha visto la stretta di “soli” 5 punti base sui tassi di rifinanziamento a 7 e 28 giorni alle banche commerciali, al 2,50% e 2,80%, e l’aumento di pari entità, al 3,25%, del tasso sui prestiti erogati a un anno.

La Pboc, intervenuta per la terza volta quest’anno, è stata la prima tra le primarie banche centrali asiatiche a ricordare che la politica monetaria Usa continua in generale ancora a guidare le scelte in Asia per la dipendenza della regione ai capitali stranieri al servizio della crescita economica.

Più alti sono i tassi d’interesse negli Usa e più gli Stati Uniti si profilano come mercato più favorevole e attraente per i ritorni sugli investimenti, stornando risorse dall’Asia e causando potenzialmente turbolenze finanziarie. “Il cambio nei tassi d’interesse è il risultato della domanda e dell’offerta sui mercati e, allo stesso tempo, è una normale risposta di mercato al rialzo dei tassi d’interesse della Federal Reserve”, ha spiegato la Banca centrale cinese in una nota, corredo del suo primo intervento da marzo.

Pechino, impegnata a gestire la transizione dell’economia su un modello più basato sui consumi, ha rafforzato i controlli sui movimenti di capitale al fine di bloccarne i flussi in uscita che potrebbero peggiorare sia con la stretta della Fed – che nelle attese dovrebbe agire 3 volte nel 2018 e nel 2019 -, sia per il maxi piano di tagli fiscali che sta prendendo forma come voluto dal presidente Donald Trump.

Gli investimenti diretti non finanziari in uscita (Odi) sono stati 107,55 miliardi di dollari nei primi 11 mesi del 2017, con un calo annuo del 33,5%, meno del 40,9% dei primi 10 mesi. Gli investimenti diretti stranieri in Cina (Fdi) sono saliti del 9,8% a gennaio-novembre (a 122 miliardi), più dell’1,9% dei 10 mesi. La mossa di Pechino, sia pure simbolica, sta a segnalare la volontà di rispondere a ogni scossone proveniente da Washington.

Nell’area, l’Autorità monetaria di Hong Kong, con la valuta dell’ex colonia agganciata al dollaro Usa, ha alzato i tassi di riferimento di 25 punti base, all’1,75%, mentre la Corea del Sud si è mossa preventivamente nei giorni scorsi e Malaysia e Filippine, invece, potrebbero muoversi presto. Il potere della Fed, del resto, rimanda al 2013 e al “taper tantrum”, quando i timori della fine anticipata dell’allentamento monetario spaventò i mercati globali, compresi gli asiatici.

(di Antonio Fatiguso/ANSA)

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