BRUXELLES. – Il via libera alla seconda, “drammaticamente difficile” seconda fase del negoziato per la Brexit. Il rinvio a marzo delle discussioni sulla riforma dell’ Eurozona, con la prospettiva di avere le prime decisioni a giugno. La palese spaccatura tra le istituzioni europee sulla riforma di Dublino, le quote obbligatorie delle ricollocazioni e l’approccio globale alle politiche migratorie, con Tusk e Juncker che nella conferenza stampa si contraddicono a vicenda.
Sono i risultati della seconda giornata dell’ultimo vertice dell’anno: due giorni marcati dal rinnovo delle sanzioni contro Mosca e dalla nascita della Difesa europea, unico vero comun denominatore fra est e ovest d’Europa, e simbolo di quella rifondazione dell’Ue che Bruxelles – stretta fra l’America introflessa di Trump e la Russia di Putin – sogna di completare entro il 2019 delle nuove elezioni europee. Diciotto mesi dopo il referendum voluta e perso da David Cameron e quasi nove dopo la notifica di Londra che ha avviato la Brexit, il vertice a 27 ha dato l’annunciato via libera alla fase due del negoziato col governo di Theresa May.
Un atto di fiducia, peraltro molto moderata. Tanto che al primo punto delle conclusioni, subito dopo il riconoscimento dei sospirati “sufficienti progressi” nella trattativa sulle tre questioni preliminari (conto economico, diritti dei cittadini e frontiera irlandese) i 27 “sottolineano” che la seconda fase potrà andare avanti “soltanto se tutti gli altri impegni presi nella prima fase saranno rispettati in pieno e fedelmente tradotti in termini legali il più rapidamente possibile”.
Gli europei hanno messo sul tavolo condizioni precise, per procedere nella seconda fase. Che dovrà concludersi tra 10 mesi, per consentire le ratifiche del Parlamento europeo e di Westminster entro la data ultima del 29 marzo 2019. I 27 concedono anche i “circa due anni” di “transizione” richiesti da Londra per ammortizzare le conseguenze della Brexit, ma precisano che fino al 2019 il Regno Unito in quanto membro dovrà attenersi strettamente alle regole Ue (compreso il divieto di aprire trattative commerciali con paesi terzi, di esclusiva competenza europea) e che solo allora, durante la transizione, si discuterà la relazione futura.
Quindi almeno fino al 2021 la Gran Bretagna dovrà continuare a rispettare tutte le norme Ue, compresa la competenza della Corte di Giustizia europea, per restare nel mercato unico, accettando anche tutte le quattro libertà (inclusa la libera circolazione che il referendum voleva bloccare). L’obiettivo di rispettare i tempi e quindi evitare l’incubo (britannico) della Brexit, “drammaticamente difficile” per Tusk. è “molto complicato” per Gentiloni, che lascia anche intravedere una “soluzione norvegese” che per Londra comunque comporterà grandi costi e obblighi “senza essere nella stanza dei bottoni”.
Ma restano la riforma di Dublino e le relocation gli “scogli”, come li definisce Paolo Gentiloni, fra est ed ovest. L’irritazione della Germania verso i 4 di Visegrad è nel “no” alla “solidarietà selettiva” pronunciato dalla Merkel. Che fa presagire anche la minaccia di ritorsioni al momento della discussione sul prossimo bilancio pluriennale europeo che cominceranno già nel 2018. Intanto Tusk insiste a considerare un errore le “quote obbligatorie”, mentre Juncker le difende.
Ed anche se entrambi dicono che dopo la discussione di ieri “la temperatura si è abbassata” e di voler arrivare ad un compromesso buono per tutti entro giugno, è chiaro che l’unità (mostrata nei dossier della Brexit e della Difesa) resta a rischio. Le divisioni di sempre sono riemerse nella prima discussione politica sulla riforma dell’Eurozona.
Nonostante l’ennesimo appello di Draghi a fare presto, la discussione fra i 19 è stata “esplicita” – come riferiscono fonti diplomatiche – tra i “mediterranei” favorevoli al pacchetto presentato dalla Commissione ed i nordici ostili, assieme all’Olanda. Macron è apparso più favorevole all’impostazione italiana, Merkel più con i rigoristi. Ma con la Cancelliera senza governo, non si poteva decidere altro che rimandare la discussione ad un nuovo Eurosummit a marzo. Con la promessa di prendere le prime decisioni a giugno.
(di Marco Galdi/ANSA)