Eni, Nigeria: a giudizio Descalzi e Scaroni con altri tredici

La sede Eni a San Donato Milanese. REUTERS/Stefano Rellandini/File Photo

 

La sede Eni a San Donato Milanese. REUTERS/Stefano Rellandini/File Photo

MILANO. – Un altro processo a Milano per una presunta maxi tangente versata per l’acquisizione di un giacimento petrolifero in un Paese africano. Sono stati mandati a giudizio l’attuale numero uno di Eni Claudio Descalzi, il suo predecessore Paolo Scaroni, la stessa Eni e Shell, e altre 11 persone per un versamento sospetto di un miliardo e 92 milioni di dollari a pubblici ufficiali e politici nigeriani per poter sfruttare il blocco operativo Opl 245.

Lo ha deciso stamane il gup Giusy Barbara, al termine dell’udienza preliminare che si è aperta lo scorso aprile, accogliendo la richiesta del neo procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e del pm Sergio Spadaro, titolari dell’indagine in cui è ipotizzato il reato di corruzione internazionale. Reato contestato in un altro procedimento già al vaglio di un collegio che riguarda tra gli altri ancora Eni e Scaroni per una altra mega mazzetta che sarebbe però stata versata in particolare al ministro dell’energia algerino e al suo entourage.

Per il caso Nigeria, oltre ai due colossi petroliferi italiano e olandese, imputati in base alla legge sulla responsabilità amministrativa degli enti, a partire dal prossimo 5 marzo davanti alla decima sezione penale del Tribunale, saranno processati anche due ex manager del ‘Cane a sei zampe’, l’allora capo della divisione Esplorazioni, Roberto Casula, l’ex responsabile nell’area del Sahara Vincenzo Armanna e Ciro Pagano, managing director di Nigerian Agip Exploration, società del gruppo.

E poi tre persone ritenute intermediarie tra cui Luigi Bisignani e Gianfranco Falcioni, uomo d’affari e ai tempi vice console onorario in Nigeria, quattro ex dirigenti di Shell, tra i quali Malcolm Brinded, e anche l’ex ministro nigeriano Dan Etete. Se il rinvio a giudizio da un lato ha indebolito il titolo della società petrolifera in Borsa, dall’altro ha indotto il il Cda a confermare “la fiducia circa la estraneità di Eni alle condotte corruttive contestate”, e “la massima fiducia nell’a.d. Descalzi” nella convinzione della sua “totale estraneità” alle contestazioni ipotizzate. In più il gruppo di San Donato ha espresso “piena fiducia nella giustizia e nel fatto che “il dibattimento “accerterà e confermerà la correttezza e integrità del proprio operato”.

Shell invece non ha negato la propria ‘delusione’ per l'”esito dell’udienza preliminare” e per la decisione del gup di mandare a processo la multinazionale con sede nei Paesi Bassi e i suoi ex dipendenti. “Confidiamo che nel dibattimento – è stato fatto sapere in una nota – i giudici giungeranno alla conclusione che non sussiste alcuna ragione di ritenere Shell o i suoi ex dipendenti responsabili di condotte illecite”.

Per la Procura, questa la sintesi della sua ricostruzione, sarebbe stato Scaroni, ai tempi a.d., a dare “il placet alla intermediazione di Obi” Emeka – presunto mediatore della mega stecca che ha scelto il rito abbreviato come Gianluca Di Nardo – “proposta da Bisignani e invitando Descalzi”, all’epoca dg della divisione Exploration & Production Eni, “ad adeguarsi”.

Sia Scaroni che Descalzi poi secondo l’accusa, avrebbero incontrato “il presidente” nigeriano Jonathan Goodluck “per definire l’affare”. Una ricostruzione che le difese, assieme ai loro assistiti, hanno sempre respinto. Ora la parola passa al Tribunale.

(di Francesca Brunati/ANSA)

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