Cala il sipario sulle Camere, si vota il 4 marzo. Gentiloni in campo

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel corso del suo intervento a Camere riunite.
In una foto d'archivio il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel corso del suo intervento a Camere riunite. (Foto Ufficio stampa Quirinale)
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel corso di un suo intervento a Camere riunite. (Foto Ufficio stampa Quirinale)

 

 

ROMA. – Cala il sipario sulla legislatura numero diciassette. Dopo aver ricevuto al Quirinale il premier Gentiloni e i presidenti di Camera e Senato, Sergio Mattarella ha sciolto le Camere. E’ l’atto finale che porta alle elezioni: gli italiani saranno chiamati alle urne domenica 4 marzo,poi le nuove Camere si riuniranno il 23 dello stesso mese per eleggere i presidenti.

Da oggi l’Italia è in campagna elettorale. Da qui al voto resta a Palazzo Chigi Gentiloni: il suo governo non si è dimesso, i poteri non sono limitati all’ordinaria amministrazione. Insomma, le Camere chiudono i battenti, ma il governo non va in vacanza.

“L’Italia non si mette in pausa. Il governo non tira i remi in barca, continuerà a governare”, ha spiegato il premier nella conferenza stampa di fine anno che ha preceduto di qualche ora l’epilogo della legislatura. Dietro la scelta di Gentiloni, condivisa con Mattarella, la quasi certezza che le elezioni non avranno un vincitore e che servirà tempo per formare un nuovo governo.

Anche Gentiloni lo ha dato per scontato: il premier non ha voluto dire se gli italiani lo ritroveranno a Palazzo Chigi come premier di un governo di larghe intese, ma ha sostenuto che anche senza un vincitore la situazione “potrà essere gestita” con “senso della misura e senso della responsabilità”, come del resto è successo in Germania, Gran Bretagna e Spagna.

“Spero che il Pd abbia un buon risultato e possa essere la forza centrale del prossimo governo”, ha detto ancora il presidente del consiglio, che ha insistito nel presentare il suo partito come l’espressione della “sinistra di governo”. Una sinistra per la quale, stando alle sue parole, non dovrebbe essere impossibile dialogare con la sinistra-sinistra di Bersani.

Il bilancio che Gentiloni traccia di questo ultimo anno ha varie luci (“oggi l’Italia è fuori dalla più grave crisi dal dopoguerra”, ha detto) e una sola ombra: quella di aver lasciato “incompiuto” il capitolo delle leggi sui diritti, arenatasi sullo ius soli per un solo motivo: “Non avevamo i voti”. Ma complessivamente il voto che si assegna è positivo: “Il mio governo non ha tirato a campare”.

Qualche distinguo da Renzi, il premier lo ha fatto : su Visco e Bankitalia (“il Pd aveva preso una posizione, io ho deciso diversamente”) e anche sulla commissione banche (“ho accolto con sollievo la conclusione delle sue audizioni, perché non sono state utilissime”). Ma ha difeso Maria Elena Boschi e ha detto di aver insistito perché “restasse al suo posto”.

Ora comincia la campagna elettorale; anche Gentiloni vi prenderà parte (“i governi non sono super partes”) e punterà a far percepire il Pd come “forza tranquilla di governo” per cercare di recuperare i voti degli scontenti e dei disillusi. Partito un anno fa in sordina, Gentiloni ora miete consensi.

Anche Berlusconi ne fa l’elogio (“è una persona gentile e moderata”) e evita di attaccare il Pd: la sua campagna elettorale è tutta contro i cinque stelle , “che sono un vero pericolo per la democrazia” ha sostenuto il leader di Forza Italia.

Un fair play, quello di Berlusconi verso il Pd, non ricambiato da Matteo Renzi: per il segretario del Nazareno le promesse elettorali di Berlusconi (pensioni minime a 1000 euro, reddito di dignità, riduzione delle tasse) costerebbero 157 miliardi, quelle dei cinque stelle “solo” 84: insomma “un disastro” o, in alternativa “una presa in giro degli italiani”.

Di Maio scrolla le spalle: “Renzi dà i numeri. Comunque noi possiamo arrivare al 40 per cento e governare da soli”.

(di Marco Dell’Omo/ANSA)

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