FI-Lega, nuovo scontro per la leadership e slitta il vertice

Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi
Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi a margine del vertice ad Arcore, prima delle elezioni del 4 marzo. ANSA/UFFICIO STAMPA SILVIO BERLUSCONI
Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi a margine del vertice ad Arcore, 7 gennaio 2018. ANSA/UFFICIO STAMPA SILVIO BERLUSCONI

 

 

MILANO. – Il passo di lato di Roberto Maroni ha dominato la scena del centrodestra, nel giorno che avrebbe dovuto consacrare il patto stretto domenica ad Arcore fra Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Il sospetto che il presidente uscente della Regione Lombardia sia la carta coperta del leader di Forza Italia per il dopo elezioni ha riaperto gli interrogativi sui rapporti di forza all’interno dell’alleanza.

Nessuno ha avallato ufficialmente l’ipotesi che Maroni (“non chiedo nulla ma sono a disposizione se richiesto”, ha detto) sia davvero in corsa per un ritorno al governo, magari nel ruolo di premier di mediazione fra le diverse anime della coalizione. Ma nessuno l’ha nemmeno smentita categoricamente.

L’entusiasmo mostrato domenica ad Arcore sembra così essersi raffreddato, almeno finché non sarà passato il clamore della rinuncia di Maroni a una ricandidatura alla presidenza della Regione Lombardia, vista come una minaccia soprattutto all’unità della Lega. Sarà un caso, ma la prima riunione operativa dell’alleanza per discutere di programma, è stata rinviata a mercoledì. Il tempo utile a un chiarimento in più.

Il capogruppo leghista alla Camera, Massimiliano Fedriga, ha comunque spiegato che si è trattato soltanto di “ragioni organizzative” e che lo spostamento è stato concordato con FI, FdI e Noi con l’Italia. La giornata è stata tuttavia segnata da contatti febbrili, per chiudere in fretta la partita lombarda e lanciare così la candidatura dell’ex sindaco leghista di Varese, Attilio Fontana.

Ma soprattutto per capire le conseguenze reali della mossa di Maroni sulla sfida per la leadership (e la premiership) del centrodestra, ingaggiata da Berlusconi e Salvini, che puntano a uscire dalle urne con un voto più dell’altro. Berlusconi lavora da federatore, si tiene le mani libere sul futuro inquilino di Palazzo Chigi (anche perché incandidabile) e cerca di mantenersi al centro della scena, proprio come quando domenica ha riaperto le porte di villa San Martino.

Salvini invece è lanciato nella sua corsa, e nella Lega è lui l’unico candidato premier preso in considerazione. Per il resto, ha detto lo stesso segretario federale, se Maroni ha fatto una “scelta personale, la politica deve fare un passo indietro”. E le sue ambizioni, se ci sono, non sono prese in considerazione.

Oltre al patto sul programma – che per Renato Brunetta sarà in “dieci punti precisi, impegnativi, sul fisco, sulla natalità, sulla sicurezza, sulla crescita, sugli investimenti, sulla giustizia” – fra i leader del centrodestra potrebbe essere necessario un patto di lealtà per le scelte dei nomi e dei possibili futuri assetti di governo.

Al tavolo di coalizione si comincerà fra l’altro a discutere dei collegi. Sul veto posto dalla Lega a chi si è “compromesso” con il centrosinistra, per esempio l’ex Flavio Tosi, secondo Ignazio La Russa non ci sono problemi. Ma se nella contrattazione dovesse entrare anche il nome di Maroni, qualcuno potrebbe invece essercene.

(di Alessandro Franzi/ANSA)

Lascia un commento