Ministro Orlando: “A Macerata un folle ha infangato il tricolore”

Polizia in strada a Macerata per l'arrivo di Simone Di Stefano di Casa Pound, 7 febbraio 2018. ANSA/FABIO FALCIONI

MACERATA. – Stop alla grande manifestazione antirazzista e antifascista organizzata da Anpi, Libera, Arci e Cgil per sabato 10 febbraio a Macerata come risposta al raid xenofobo a colpi di pistola del 3 febbraio. Gli organizzatori hanno deciso “non senza preoccupazione e inquietudine” di sospendere l’iniziativa dopo un appello disperato (“tardivo” secondo le varie sigle) del sindaco Romano Carancini che aveva chiesto di azzerare “il rischio di ritrovarsi dentro divisioni o possibili violenze, che non vogliamo”.

Carancini apprezza la voglia di molti di “esprimere tanti buoni sentimenti generati dalle brutte cose accadute la scorsa settimana”, ma in città ci sono ancora smarrimento, paura e dolore, la comunità deve essere “protetta” per poter guarire. A fianco del sindaco si schierano il ministro Maurizio Martina, che condivide la proposta dell’Anpi di una manifestazione antifascista a livello nazionale, e Anci Toscana.

E pure il vescovo Nazzareno Marconi, che propone “preghiere individuali e luci ad ogni finestra come segno di partecipazione civile”. Quello che Carancini non dice apertamente è che sulla città stanno calando forze ultradestra (oggi CasaPound, domani una fiaccolata di Forza Nuova). Salvini domani in tour elettorale si tiene lontano. Ma cominciano a preoccupare i gruppi di estrema sinistra e i centri sociali che hanno confermato la volontà di fare la manifestazione comunque.

A Macerata la tensione si taglia a fette e non va meglio nel resto del Paese: a Roma, davanti al Colosseo qualcuno appende a testa in giù un manichino con la croce celtica e uno striscione con la scritta “Minniti e fascisti la vostra strategia della tensione non passerà”. Un gesto rivendicato dal gruppo “Noi Restiamo”.

A Macerata oggi è anche il giorno del ministro della giustizia, Andrea Orlando, venuto a visitare i feriti del raid in ospedale (ne sono rimasti due). Il Guardasigilli spara a zero contro l’autore del raid, Luca Traini, “un folle che ha infangato il tricolore”. Poi va a trovare il presidente del Tribunale e il procuratore Giovanni Giorgio: ufficialmente “un segno di solidarietà”, con l’invito a “lasciar lavorare i magistrati”. Ma forse anche un tentativo di arginare le indiscrezioni sulle indagini, spesso con particolari scabrosi “che offendono la pietà”.

Qualche ora dopo, in una città blindata, arriva CasaPound Italia (Cpi): era prevista una conferenza stampa, poi trasformata in sit in. Alla fine si risolve in momento di esposizione mediatica per il leader Simone Di Stefano, che prende le distanze da Traini e dice no alla pena di morte, che però “potrebbe essere una liberazione, anche morale” per chi commette delitti orribili come quello di Pamela Mastropietro, fatta a pezzi e chiusa in due trolley.