Wolff: “Alla Casa Bianca di Trump tutti si odiano”

“Fuoco e Furia” brucia Steve Bannon
“Fuoco e Furia” brucia Steve Bannon

ROMA. – Nell’amministrazione Trump “nessuno si aspettava di entrare veramente alla Casa Bianca, nessuno era preparato”. Una volta dentro, “nessuno sapeva cosa stesse facendo lì”: questa l’impressione che Michael Wolff ha avuto dell’entourage del presidente. Condizione che paradossalmente è stata un viatico per lui, che per mesi ha potuto parlare indisturbato con tutti e scrivere il suo “The Fire and the Fury” dall’interno della stessa Casa Bianca, “come una mosca sul muro”. Perché “nessuno sapeva neanche cosa ci facessi io lì”.

Nel presentare alla stampa a Roma l’edizione italiana del libro bestseller che ha incendiato l’opinione pubblica americana e fatto infuriare Donald Trump – “Fuoco e furia: dentro la Casa Bianca di Trump”, edito da Rizzoli – Wolff ha descritto la situazione come una serie di paradossi: dentro la Casa Bianca “le persone parlavano con me per sapere cosa le altre persone con cui lavoravano fianco a fianco dicevano di loro. Nessuno si parlava. Tutti si odiavano”.

Io, racconta il giornalista americano, “ero il loro confidente” e loro “con me si toglievano un peso”. L’amministrazione Trump, dice, è infatti “divisa in tante fazioni” quante le persone, “ognuna con la propria agenda e il proprio addetto stampa”.

Accusato di aver sguazzato su ‘fake news’, Wolff racconta di aver solo raccolto confidenze innocenti, e che il primo protagonista dei “leaks”, che stanno danneggiando Trump, è Trump stesso, il quale ha il vizio di “parlare senza controllo al telefono con chiunque, come ha fatto con me”. “L’indiscrezione – per Wolff – è congenita in questa Casa Bianca, costruita attorno a uno che non si controlla”.

Secondo Wolff, la cerchia dei collaboratori di Donald Trump ha un carattere sempre più “di famiglia” dopo tante defezioni di parsone ‘fidate’. “Questo perché nessuno vuole lavorare in questa Casa Bianca. Tutti ormai hanno capito che avervi lavorato è una macchia” nel curriculum, che la Casa Bianca ha un “livello di tossicità” tale da “infettare le carriere”.

Wolff racconta i retroscena: da New York si spostava a Washington ogni martedì dopo aver preso un appuntamento con qualcuno. “Entravo dal cancello principale sulla Pennsylvania Avenue. ‘Lei è nel sistema?’, mi chiedevano. ‘Sì, sono nel sistema’. Un militare senza espressione mi apriva la porta, mi sedevo nella West Wing. Nessuno teneva fede al mio appuntamento, quindi restavo seduto lì, come la tappezzeria. E ascoltavo.

Qualcuno mi chiedeva: ‘Posso aiutarla?’ ‘Grazie, ho appuntamento con Steve Bannon’. ‘Allora sta fresco’, mi dicevano, E alcuni iniziavano così a parlarmi, a sfogarsi”. Wolff racconta che durante la transizione Obama-Trump telefonò allo stesso Trump dicendogli di volere fare l’osservatore alla Casa Bianca. “Cerca un lavoro?”, gli chiese il presidente. “No, voglio scrivere un libro”.

“Sure!”, ‘certo’ disse Trump, e tanto bastò a Wolff per dire a tutti che il libro aveva l’approvazione presidenziale. Salvo poi ricevere nella sua casa newyorkese, mesi dopo, una telefonata-shock dello stesso presidente: mezz’ora di monologo sulla cornetta di un Trump, “fuori di testa, furibondo”. Secondo Wolff, Trump “non ha un’agenda”, o meglio, “la sua agenda è solo se stesso”.

Parlando a tu per tu con lui, il tycoon gli disse: “Sono la persona più famosa sulla Terra. Non lo pensa pure lei?. Poi – racconta l’autore del libro incendiario – schioccò le dita a Jared Kushner, presente all’incontro, e gli chiese: ‘Vero o no?”. ‘Credo di sì'”, rispose il genero.

Secondo Wolff, Trump, non molto familiare con la letteratura, non leggerà neanche “Fire and Fury”. “Durante la campagna per le primarie repubblicane nel 2016 scrissi di lui un profilo. Lui vide la foto in copertina e disse: “Cool cover!”, copertina figa. “Forse si è fermato lì e non ha neanche letto l’articolo”.

(di Fabio Govoni/ANSA)