‘Ndrangheta: arresti e fermi, affari con imprese ‘sane’

FIRENZE. – Fatture false per giustificare false vendite di merci inesistenti, se non sui documenti contabili, per frodare l’erario sull’Iva: anche così viene pulito il denaro sporco della ‘ndrangheta. Due inchieste dell’Antimafia hanno dato un colpo al sistema di riciclaggio delle ‘ndrine, tra Italia e Paesi esteri.

Con l’operazione ‘Martingala’ la Dda di Reggio Calabria ha eseguito 27 fermi per associazione mafiosa, sequestrato beni per 100 milioni (società, immobili, conti correnti) e indagato a vario titolo altre 46 persone. Mentre in Toscana la Dda di Firenze ha ottenuto dal gip arresti per 14 persone, tra cui sei imprenditori di concerie di Santa Croce (Pisa) e Fucecchio, nell’inchiesta ‘Vello d’oro’ per reati a vario titolo, di associazione a delinquere, riciclaggio e autoriciclaggio, usura, estorsione, esercizio abusivo del credito: a diversi indagati è contestata l’aggravante del metodo mafioso.

In una conferenza stampa a Firenze il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho parla di “quadro preoccupante” e di “operazioni, anche all’estero, per emettere false fatture” per agevolare il riciclaggio di ‘denaro sporco’ delle ‘ndrine, mentre il procuratore capo di Firenze Giuseppe Creazzo sottolinea che le infiltrazioni mafiose “non sono più episodi sporadici in Toscana”.

“Questa è un’operazione modernissima e coinvolge tutte le componenti della ‘ndrangheta reggina, zona ionica, centro e zona tirrenica”, dice il procuratore capo di Reggio Calabria, Gaetano Paci: “Emerge una struttura organizzativa, unitaria, delle cosche per riciclare”.

Fulcro delle due inchieste parallele, ma convergenti negli interessi illeciti, risulta agli inquirenti Antonio Scimone, arrestato oggi: definito “riciclatore professionista”, capace di attivare un carosello di fatture false con personaggi di sua fiducia, sarebbe il “regista” di una galassia di numerose società in Calabria e in Croazia, Slovenia, Romania, Austria, Regno Unito.

A lui, che opera a un livello superiore, tipo manager, fanno riferimento tutte le maggiori cosche reggine. I soldi ‘sporchi’ da traffici illeciti (cocaina in primis) vanno all’estero, poi Scimone li fa rientrare coi suoi metodi. Le due indagini svelano sofisticati meccanismi di riciclaggio attuati con una girandola di aziende (51 quelle sequestrate oggi) e numerose operazioni bancarie sospette segnalate.

Le aziende sono poste o direttamente o indirettamente sotto il controllo delle cosche, oppure, come in Toscana, appoggiandosi a aziende del Cuoio. Imprese che, pur economicamente sane, trovavano vantaggio nel farsi prestare somme da ‘cartiere’ gestite da soggetti della ‘ndrangheta. Denaro che i calabresi portavano in contanti, o dalla regione d’origine o da conti bancari esteri (Slovenia, Croazia), e che gli imprenditori rimborsavano maggiorato di interessi usurari, in media del 9,5%.

I pagamenti sono il prezzo di fatture false per vendite inesistenti di pellami o altre merci. Le fatture finte servivano a giustificare i bonifici bancari, veri, con cui le imprese conciarie pagavano il costo delle merci, Iva compresa. Per la ‘ndrangheta, così, tornava indietro denaro ripulito, allocato in società che duravano un paio di anni e che venivano trasferite nel Regno Unito, quindi là fatte morire eludendo in pieno i controlli del Fisco italiano.

Invece, le imprese ottenevano fondi neri per pagare, al netto totale degli oneri previdenziali e fiscali, il lavoro straordinario dei dipendenti. Ma, soprattutto, per giustificare l’abbattimento degli utili in sede di dichiarazione dei redditi di imprese e mirare al recupero dell’Iva peraltro, di fatto, non pagata. “L’Iva è la torta più grande” in questa inchiesta, ha spiegato il procuratore Creazzo.

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