L’artista: dentro e fuori del proprio tempo

Quando parliamo di arte e quindi di artisti, si finisce spesso con riaffermare il mito secondo cui l’artista, in particolar modo quello moderno, lavora e vive in una torre di avorio. Quasi sempre lo pensiamo con carattere crepuscolare lontano di ogni sorte di cambiamento tecnico o degli accadimenti che stravolgono il mondo.

Rinchiuso miracolosamente produce (si dice a volte) un arte che per quanto possa essere definita moderna, non da nutrimento a tutto ciò che ci circonda e costituisce il nostro quotidiano.

In genere si da per scontato che la pittura, la scultura e le sue applicazioni agli oggetti utili e non, si sono sviluppate sempre dallo stesso punto di vista e con la stessa attitudine. Quando questa attitudine è incorporata in opere d’arte la chiamiamo stile e ci attendiamo di trovare questo stile in tutti gli oggetti di un determinato periodo, piccoli, grandi, estetici, utili, ecc,. In effetti, definiamo lo spirito di un tempo storico dal suo stile: ad esempio, l’immagine che abbiamo del XIII secolo è il Gotico invadente con le sue cattedrali, i livelli del coro, le sue miniature. Al contrario di quanto dicevamo sul mito, noi sappiamo che questo senso unitario esiste ancora oggi. Se ci guardiamo intorno, siamo circondati da oggetti che evidenziano questo processo, in qualsiasi cosa dalla pubblicità, all’architettura, alle copertine dei libri, agli involucri delle scatole, colori, disegni, simboli, che vanno di pari passo alle invenzioni dei pittori e scultori.

Oggetti che sono esempio dello spirito moderno e che noi troppo spesso dimentichiamo quando vicini sono al lavoro che si svolge nelle “torri di avorio”.

Il fatto è che il principio di unità stilistica è valido oggi quanto lo è sempre stato in passato. È vero oggigiorno che esiste una tendenza a operare secondo la propria visione piuttosto di come avveniva in passato su commissione. Naturalmente questo corrisponde ad un atteggiamento parallelo ai nostri ideali di liberta e di unicità dell’individuo che ci propone una variegata produzione di espressione separate.

Varietà di stili che appartengono al nostro tempo e benché l’espressione dell’artista possa essere isolata ha sempre le sue radici in un ambiente comune a noi tutti. Senza andare molto lontano, prendiamo ad esempio una scatola comune molto conosciuta, dal disegno moderno al meno nei primi modelli, quale è quella dei kleenex; in periodi precedenti, la chiassosità avrebbe caratterizzato la scatola e impiegato una decorazione complicata con simboli appariscenti, magari ricurvi nei bordi. Troviamo invece logico avvicinare la decorazione di questa alla pittura di Mondrian, quindi una decorazione nitida, audace e semplice geometria. Entrambe, spoglie di ogni cosa superflua, dipendono dalla curata relazione di poche ma essenziali immagini. Disegno e sommità della scatola sono uniche, attitudine che è prevalente nella pittura di Mondrian come possiamo rivelare anche in un tipo di esempio propriamente di architettura moderna, ci riferiamo a Marcel Breuer.

Mondrian conduce le sue linee e superficie fino ai bordi del quadro, quindi no spazi-oggetti ma superfici piane, spazio e tela sono un tutto unico. Ugualmente fa Breuer, realizza la tipica asimmetrica composizione dell’architetto moderno. Non ha punti focali, nessuna riduzione dal centro verso i lati, bensì una uniforme distribuzione di tutti gli elementi, margini e angoli hanno la stessa importanza delle aree mediane. L’ideale di semplicità evidente nella struttura della opera di Mondrian, era, al meno in parte, ispirata dalla meccanizzazione della vita del ventesimo secolo ed è improbabile che sia architetti che disegnatori pensassero tutti alla pittura di Mondrian per risolvere le loro visioni.

Non si vuole dunque suggerire che lo stile di Mondrian fosse necessariamente la sorgente diretta, anche se dobbiamo ammettere che c’è similarità di accostamenti, affinità di attitudine, un gusto per lo stesso genere. Ecco dunque una dimostrazione che la pittura di Mondrian non era poi cosi lontana dalla vita quotidiana contemporanea.

Ho preferito chiamare in causa l’arte astratta perché appare la più staccata dalle preoccupazioni pratiche e l’artista che se ne occupa dovrebbe essere quello più isolato, ciò nonostante abbiamo visto che esistono connessione fondamentale. Connessioni che appaiano ancora più evidenti quando si passa a considerare gli stili dell’arte moderna che, benché in maniera stilizzata, fanno uso della rappresentazione. Combinazioni semplici, elementi astratti, linee rette, il piano, costituiscono la grammatica dell’odine geometrico. Anche quando queste connessioni si combinano con figure e oggetti, cioè vengono fusi con oggetti tipo, quello che viene proposto non è una bottiglia o un bicchiere, ecc, ma bensì la bottiglia, il bicchiere.

Pensiamo alla natura morta di Le Courbusier, tutti i contorni sono nitidi e duri, le superficie sono lisci e non spezzate, coni, sfere, cilindri, sono usate come geometria solida. Simboli più che individuali anche se ciascuno appare solido, tutti si fondono fra loro.

Questo stile fu perfezionato già dai pittori dei primi anni del novecento. Essi lo inventarono esclusivamente per motivi estetici, molto usato nella cartellonistica. Le linee forti, la costruzione chiara, i contrasti, consentono le riproduzione su scala elevata.

Chi non ricorda i cartelloni per le linee aeree americane? O la copertina della famosa rivista “Fortune”, una iconografia commerciale moderna cosi tanto familiare da apparire scontata, il cui stile però fu inventato da artisti puri, che facevano l’Arte per l’Arte. E questo ci suggerisce ancora che gli artisti sono in armonia con il loro tempo.

Questa stilizzazione geometrica venne ed è applicata ancora alla figura umana. Troviamo molti esempi, sia nell’arte pura che nell’arte applicata. Pensiamo ad esempio un’opera di Mirò; “persona che lancia una pietra a un uccello” le parti del corpo che compongono la figura sono allo stesso tempo semplificate e ingrandite in relazione alla loro importanza. Visione applicata a tutte le forme di arte commerciale, un occhio che appare costantemente in un annuncio pubblicitario, un piede gigante che scala una montagna. Sono espressioni enfatiche che ci portano a pensare e quindi a riaffermare che l’artista indica la strada verso forme esternamente espressive e perciò più significative.

Uno dei luoghi comuni de la psicologia moderna è che la mente umana sia come un iceberg, cioè che una buona parte di essa sta nascosta sotto la superficie e si muove a livelli che si trovano al di sotto del suo funzionamento cosciente, e con significati che non sono razionali o logici, o al meno nella comune accezione. La pittura surrealista ha fatto grande uso di questa nuova cognizione. In tutti i loro lavori è presente il concetto di una apparente incongruenza. La non-logica che (come i sogni) ha una logica propria, crea inaspettati accostamenti e situazioni tale da condurre l’osservatore stupito ad una nuova ed improvvisa consapevolezza.

Pensiamo all’uso delle associazioni mentali che Dali ha fatto per produrre le sue opere sconcertanti, attraverso la perfezione del disegno. Pensiamo a Tanguí, un mondo fatto di sogni, di spazi immensi nel quale il movimento infinito risulta possibile a prima vista, proponendosi successivamente futile come tale per contrasto viene irrigidito nell’immobilità. Il disegno indefinito e allo stesso tempo affascinante per la ispirazioni che suggerisce libera l’osservatore a concluderlo. Però nell’˂arte˃ pubblicitaria è necessario un messaggio più esplicito, gli oggetti diventano più precisi nel loro significato. Il pubblicista usa uno stile comune per scopi ben differenti, opera come un intermediario, deve colpire la nostra attenzione e dirigerla verso un prodotto del quale egli si fa l’interprete; il pittore invece crea un mondo tutto suo, dove ci convince di sostare indefinitamente, dimenticando tutto ciò che ci circonda, non ci conduce in un mondo di cose, bensì verso una vita interiore.

Questi sono alcuni esempi tra arte moderna e vita moderna. Si potrebbero citare infiniti personaggi chiamando in causa anche gli odierni comunicatori; un esempio fra i tanti: Flavia Romani, che ha sostituito nella sua totalità la parola con la immagine; o riferirsi ai disegni di Picasso “linee e punto” di cui si vedono esempi paralleli in cartelloni pubblicitari. Le immagine fantasiose di Klee, che avvicinano la consapevolezza di un bambino a quella di un adulto, con un risultato propriamente umoristico.

Quindi, come abbiamo detto all’inizio, questi paralleli e similitudine fra l’arte e il disegno applicato non sono necessariamente derivazioni dirette. Penso piuttosto che sono manifestazioni di una educazione dell’occhio che in nuove condizioni sa percepire nuove forme. Questo dunque ipotizza il fatto che l’artista, per quanto solitario può sembrare nel suo ruolo, è profondamente radicato nel suo tempo. La visione può essere più rapida dei suoi contemporanei, la sua immaginazione più libera e più creativa, però sempre cresce e si forma in un ambiente sociale comune, divenendone ben presto una parte essenziale e contribuendo a modellarlo.

Solo l’artista che ha una visione completamente pura può raggiungere l’intensità che invece altera la visione degli altri. Solo l’artista che si da senza compromessi alla tradizione espressiva della propria emozione e insiste nel trasmetterla esattamente come la vede, potrà creare forme che altri riconosceranno come riflessi autentici dei loro sentimenti e paradossalmente l’artista che non ha uno scopo specifico, sarà quello più efficace.

 

artista
Francesco Santoro