Alberto Filippi: una vita sintesi di molte culture

Alberto Filippi in compagnia del padre.

 

di Mariza Bafile

Con grande serietà e profondità Alberto Filippi, filosofo, storico, giurista, ha accettato di candidarsi al Senato per l’America Meridionale con il partito “Liberi e Uguali”, presieduto dall’attuale Presidente del Senato Pietro Grasso. Immediato il sostegno di grandi scrittori, giuristi, storici, attivisti di diritti umani di tutta l’America Latina e dell’Italia che con lui hanno condiviso grandi progetti culturali.

Ma l’impegno intellettuale nella vita di Alberto Filippi ha sempre camminato parallelamente a quello politico e sociale. Era un giovane studente a Barquisimeto, città nella quale si era trasferita da Padova la sua famiglia, quando iniziò a militare con le forze democratiche che si opponevano alla dittatura di Pérez Jiménez.

A Barquisimeto Filippi ha studiato e si è formato seguendo l’esempio dei suoi genitori che gli hanno inculcato valori antichi come l’onestà, la serietà nel lavoro, la responsabilità individuale e la solidarietà collettiva. Valori ai quali è rimasto sempre fedele nella sua lunga carriera di studioso, docente, saggista.

Orgoglioso delle sue origini italo-venezuelane, è stato tra i primi a lottare per favorire l’integrazione tra i due paesi, per dare alla nostra collettività lo spazio e il rispetto che merita. Quando in Venezuela si ristabilì la democrazia si fece promotore dell’Associazione della Fraternità Italo-Venezuelana, al fine di lenire gli strascichi negativi che aveva lasciato nella società venezuelana l’atteggiamento pro-dittatura portato avanti da una manciata di faccendieri italiani. Erano quelli che avevano sfruttato gli stessi connazionali per i propri interessi economici.

Negli anni sono stati davvero molti i progetti culturali portati avanti da Filippi come docente, come giurista, come storico e come filosofo, tanti che sorge immediata una domanda:

– Cosa ha spinto un intellettuale come te, riconosciuto internazionalmente, ad accettare una candidatura al Senato italiano?

– Un intellettuale ha responsabilità civili e politiche nella società in cui vive, tanto più se questa società è poco conosciuta e valorizzata in Europa e, purtroppo, anche in Italia. Quando tu stessa eri deputata abbiamo portato avanti diverse iniziative per colmare queste lacune, direi proprio per far conoscere le nostre realtà smascherando i luoghi comuni, mostrando le diversità che caratterizzano i vari paesi dell’America Latina e di conseguenza delle nostre collettività. Le vite degli italiani all’estero non possono essere capite se non si conosce le realtà in cui vivono. In Italia ci ricordano brevemente solo quando avvengono delle catastrofi o durante i campionati di calcio. È necessario favorire la circolazione delle informazioni, valorizzare il lavoro che fanno mezzi di comunicazione come La Voce d’Italia che da più di 65 anni lotta per mantenere il vincolo tra l’Italia e l’America Latina e per conservare la lingua italiana, veicolo primo della nostra cultura, così come altri media che seguono i connazionali in Argentina o in Brasile. Abbiamo diritto a una maggiore presenza culturale per cui vanno consolidati gli Istituti di Cultura che devono avere un budget che permetta loro di lavorare al meglio. Insomma come intellettuale e docente ho accettato la candidatura proprio perché conosco le problematiche dell’emigrazione e conosco l’America Latina. Il nuovo Senato rappresenterà le Regioni ed è con le Regioni che bisogna attivare rapporti positivi per tutti. Noi possiamo essere molto utili all’espansione e internazionalizzazione delle Regioni e al tempo stesso possiamo trarre grandi vantaggi da una loro maggiore presenza nei nostri territori.

 

– Quali sono i problemi che, secondo te, richiederebbero un intervento immediato qualora tu diventassi senatore?

– I problemi delle collettività in America Latina sono tanti e molti sono ancora irrisolti. Credo che ciò sia dovuto ad una mancata visione d’insieme delle relazioni tra l’Europa e l’America Latina. Si privilegiano le risposte demagogiche e si fanno grandi promesse con l’unico fine di carpire voti. Invece è necessario fissare degli obiettivi strategici e pensare in soluzioni a lungo termine. È anche vero che ci sono problemi più urgenti che devono essere affrontati immediatamente come quello dello smaltimento delle pratiche nei Consolati, le pensioni o l’assistenza agli anziani. Le nostre battaglie devono camminare parallelamente con quelle che si porteranno avanti in Italia per creare una società più inclusiva, che riscopra i valori della solidarietà e del rispetto del lavoro. Un paese che non considera centrali i diritti dei cittadini, dei pensionati, dei lavoratori come può preoccuparsi con sensibilità e apertura delle nostre problematiche? Pensare agli italiani all’estero come ad un’isola chiusa in sé stessa rappresenta un errore grave e lo dimostra l’inefficienza mostrata fino ad oggi da chi, legislatura dopo legislatura, si limita a fare grandi promesse.

Alberto Filippi, gruppo famigliare.

– E per i giovani cosa proponi?

– Innanzi tutto l’attivazione di scambi universitari. Come docente dell’Università di Camerino e direttore dell’Istituto di Studi Storici, Giuridici, Filosofici e Politici ho lavorato durante molti anni in questa direzione. Si parla non soltanto di scambi di studenti ma anche di docenti e ricercatori. Anche il rafforzamento dei progetti culturali ha come scopo quello di aprire nuovi orizzonti ai nostri giovani e di riscattare la memoria dell’emigrazione, di consolidare una cultura delle migrazioni. All’interno del riscatto di questa memoria considero centrale il ruolo che hanno avuto le donne, un ruolo importantissimo che pochi conoscono. Sono loro in gran parte quelle che mantengono e trasmettono cultura e tradizioni e sono loro che per amore dei figli hanno partecipato alle lotte sociali e politiche. Le ragazze devono sapere quanto devono alle lotte, i sacrifici, il coraggio delle mamme, nonne e bisnonne. Solo così le nuove generazioni apprezzeranno il privilegio che significa avere molteplici identità, essere la sintesi di più culture. È un patrimonio da riscattare perché rende le popolazioni più vicine, più tolleranti, più inclini alla pace. In questa terra dilaniata dal mercantilismo e dalle guerre noi che abbiamo dentro due e più paesi possiamo fare la differenza. I figli, nipoti, bisnipoti dei nostri emigrati devono trovare in Italia un paese che li apprezzi e li accolga, che sappia valorizzare la loro preparazione, che voglia integrarli davvero, che costruisca ponti basati sui valori e non soltanto sul profitto economico.

– Qual è la posizione del tuo partito nei riguardi della politica venezuelana?

– Una delle ragioni fondamentali per cui ho aderito al Partito “Liberi e Uguali” fin dalla sua nascita è per offrire loro il mio contributo nella conoscenza della realtà passata e presente dell’America Latina e in particolare del Venezuela, paese che amo e nel quale ho trascorso infanzia e giovinezza. Per oltre vent’anni, fino al 2010, sono stato membro del Comitato Scientifico dell’Istituto Italo-Latinoamericano e ho lavorato anche fianco a fianco con l’ambasciatore Paolo Bruni che ben conosceva il Venezuela. Uno dei fondatori di “Liberi e Uguali” è Massimo D’Alema, grande esperto di politica estera che più di una volta è stato in Venezuela. Il mio ruolo all’interno di “Liberi e Uguali” sarà proprio quello di orientare la politica del partito e dell’Italia nei confronti del Venezuela dando sostegno alle forze democratiche e di centrosinistra in opposizione ad ogni populismo e autoritarismo. Ormai è ben chiaro anche a molti militanti e dirigenti della galassia del post-chavismo che in Venezuela si è verificata una lacerante frattura istituzionale nel momento in cui è stata convocata illegalmente l’Assemblea Costituente. L’orientamento di “Liberi e Uguali” è quello di mantenere un dialogo con le forze politiche democratiche dell’America Latina e in particolare del Venezuela.

 

– La collettività del Venezuela, così come il resto del paese, sta vivendo una profonda crisi. Quali sono i passi che lei darebbe, come senatore, per aiutare i nostri connazionali?

– La crisi del Venezuela è complessa ed esige molti interventi, alcuni immediati altri a medio e lungo termine. È importante che in Italia ci sia un governo che prenda sul serio le nostre problematiche. Non abbiamo bisogno del populismo allo stile Trump o di Rajoy, personaggi che promettono, si scattano un po’ di foto con esponenti politici dell’opposizione e poi continuano a portare avanti lucrosi affari con il governo attuale. È necessario poter contare in Italia su un governo che abbia la dirittura morale di prendere misure importanti per arginare la crisi umanitaria che sta causando la morte di tante persone per mancanza di cibo e di medicine. Molti, troppi venezuelani stanno cercando nell’emigrazione un futuro diverso e tra loro molti, moltissimi sono italiani di prima, seconda e terza generazione. Ne ho incontrati tanti in Argentina, Cile, Brasile. È necessario difendere anche i loro diritti, sensibilizzare i paesi in cui arrivano affinché possano organizzarne l’accoglienza. La crisi del Venezuela sta dilagando ed è già diventata una crisi latinoamericana. Per offrire una risposta concreta è importante avere una visione d’insieme, bisogna sapersi muovere all’interno dello scacchiere europeo. L’Italia non può abbandonare i connazionali che dopo anni e anni di lavoro sono costretti a percorrere di nuovo il cammino dell’emigrazione. Dobbiamo poi essere più vicini che mai agli italo-venezuelani che lavorano all’interno delle Università e delle Accademie per sviluppare insieme a loro con rigore e passione tematiche riguardanti la transizione democratica nel rispetto dei diritti fondamentali e della difesa delle fasce di popolazione più vulnerabili.

 

– Dopo tanti anni di vita in Argentina cosa ti mantiene ancora legato al Venezuela?

– L’infanzia è eterna nella vita delle persone e Venezuela è stato il paese in cui sono cresciuto e che mi ha formato. Padova, Venezia, Barquisimeto e Caracas… lì affondano le radici della mia vita. Mio padre, Don Lino, così lo chiamavano i larensi, ha amato il Venezuela fin dal primo giorno e ha sempre espresso grande riconoscimento per una terra che con noi è stata molto generosa. Lui diceva: “il Venezuela mi ha regalato l’America”. Poi, quando ho approfondito i miei studi in Italia, ho mantenuto la passione per Simón Bolívar e la sua epoca, un tema al quale mi sono dedicato tanto che negli anni ’80 e ’90 ero considerato uno dei maggiori esperti. Ho pubblicato tre volumi sulle relazioni tra Bolívar e l’Europa, ho scritto decine di saggi e articoli, ho dettato corsi e seminari in molte università europee e latinoamericane. Quando il paese riprenderà il cammino democratico, sarà importantissimo favorire un dibattito su temi come Costituzione, dittature, democrazie, analizzati in base alla storia del Venezuela. Su questi punti verte un mio studio titolato “Constitución, dictaduras, y democracias” (Infojus, Buenos Aires 2015) che analizza in profondità il passato e il presente delle istituzioni e delle culture politiche dell’America Latina. Il libro può essere scaricato da Internet.

Se me lo permetti vorrei concludere questa intervista ricordando i versi del poeta Vicente Gerbasi nella poesia “Mi padre el inmigrante”. I miei me la leggevano traducendola al padovano perché ancora non capivo lo spagnolo. Quei versi riassumono meglio di tante altre parole i miei sentimenti verso il Venezuela.

 

“¡Ampárame, oh tierra maravillosa!

Yo me estaré contigo adorando tus peñas

que en las penumbras tienen rostros de nuevos dioses.

Yo vengo de los puertos, de las casas oscuras,

donde el viento de enero destruye niños pobres,

donde el pan ha dejado de ser pan para los hombres.

Yo vengo de la guerra, del llanto y de la cruz.

¡Ampárame, oh tierra maravillosa!”

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