L’Italia cresce dell’1,5%, sul lavoro pesa ancora la crisi

Operaio all'opera in industria metalmeccanica
Operaio all'opera in industria metalmeccanica

ROMA. – L’economia italiana torna a crescere a ritmi che non si vedevano da sette anni, “finalmente rilevanti” secondo il premier Paolo Gentiloni. Il deficit scende ed anche il debito, per quanto quasi impercettibilmente, comincia a diminuire, così come la pressione fiscale. Risultati che, a tre giorni dalle elezioni, permettono al governo di centrosinistra di rivendicare di aver lasciato i conti pubblici italiani finalmente “in ordine”.

Effettivamente confrontando il +1,5% di Pil registrato oggi dall’Istat per il 2017 con i dati dei primi anni della crisi (Pil a -1,1% nel 2008 e -5,5% nel 2009) o con quelli del biennio 2012-2013 (relativi cioè al secondo grave picco negativo della crisi a ‘W’ che ha investito in pieno l’economia italiana), il miglioramento è evidente. Così come, insieme alla ripresa della congiuntura, è evidente l’evoluzione positiva del mercato del lavoro, anche se in questo caso la lettura dei dati non è così univoca.

A gennaio il numero di occupati è salito di 25.000 unità rispetto a dicembre e di 156.000 rispetto a gennaio 2017. La disoccupazione è tornata ad aumentare, arrivando all’11,1% ma solo perché sono aumentate le persone in cerca di lavoro e sono diminuiti gli inattivi, segno di una nuova positiva spinta dal basso. La disoccupazione giovanile è scesa al minimo storico, mentre l’occupazione femminile è arrivata a livelli mai registrati prima.

Tuttavia è la qualità dell’occupazione che stenta ancora a raggiungere livelli ottimali. A crescere è infatti esclusivamente il lavoro a tempo determinato, con oltre un lavoratore su 10 (il 12,5%) occupato ‘a termine’. Il Pil però va, vanno gli investimenti, in netta accelerazione, e tengono i consumi e la spesa delle famiglie.

Nel 2017 la crescita è stata esattamente quella prevista dal governo nelle ultime stime ufficiali di settembre. Addirittura meglio delle previsioni sono andati deficit (all’1,9% del Pil contro il 2,1% stimato nella Nota di aggiornamento al Def) e debito, sceso “udite udite”, commenta ancora Gentiloni, al 131,5%.

Ma come neo nel quadro roseo delineato dall’Istat, va considerato che i dati di finanza pubblica non incorporano gli effetti della liquidazione di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, per i quali l’Istat attende la valutazione di Eurostat e che potrebbero comportare una revisione peggiorativa dei numeri sia sul debito che, afferma l’Istituto di statistica, sul deficit.

Secondo il Ministero dell’Economia, il peso dei salvataggi (4,8 miliardi di iniezione vera e propria di liquidità e 12,4 miliardi di ipotetiche garanzie) influirà eventualmente solo sul debito, ma secondo l’Istat l’impatto si dovrebbe invece sentire su entrambe le grandezze.

Qualche differenza tra governo e istituto di statistica emerge anche nel calcolo della pressione fiscale: entrambi ne rilevano un calo ma, se l’Istat si ferma al 42,4%, il Mef, inglobando anche il bonus 80 euro considerato taglio dell’Irpef anziché spesa sociale, evidenzia un calo più marcato, sotto la soglia del 42%, al 41,9%.

Il Mef sembra comunque più che soddisfatto dei risultati ottenuti con il “sentiero stretto” di Pier Carlo Padoan. I dati sono “il frutto del lavoro fatto”, commenta il ministro, che auspica continuità anche nella prossima legislatura ed invita a “proseguire nella strategia fin qui adottata”.