Sinistra, la sconfitta peggiore. Lega, mai così in alto

ROMA. – Anche nel momento peggiore e più traumatico per milioni di militanti, la svolta della Bolognina e la scissione del Pci in Pds e Rifondazione, era andata meglio: Achille Occhetto prese 6.321.084 voti, oltre 200mila in più del Pd di oggi. Era il 1992, tre anni dopo la caduta del Muro e due anni prima della discesa in campo di Berlusconi.

La sinistra fa i conti con il peggior risultato dal 1948 proprio nel giorno in cui tutto quello che ha sempre combattuto, almeno a parole, prende forma nel risultato storico della Lega: oltre 5 milioni e 600mila voti che portano a poco più di un solo punto percentuale (17,4 contro 18,7) il divario tra l’incarnazione dei populismi e quella che avrebbe dovuto essere l’erede della tradizione di sinistra cattolica e riformista.

Un risultato, quello della Lega, che cannibalizza sopratutto Silvio Berlusconi, l’altro grande sconfitto della tornata elettorale. Alla sua prima apparizione, nel 1994, il Cav prese 8.136.135 voti, il 21%, e la Lega 3.235.248, l’8,36%. Vent’anni dopo, nel 2013, il Popolo delle Libertà in qualche modo confermò quel risultato, con 7.332.134 voti e il 21,56%, mentre la Lega crollò al 4,09%, con 1.390.534 voti.

Cinque anni dopo i voti di Salvini sono aumentati di quattro volte e saliti ad oltre 5 milioni e 600mila, quelli di Berlusconi sono scesi di quasi tre milioni, attestandosi a poco più di 4,5 milioni.

Tornando alla sinistra e andando indietro nel tempo, si parte dal 2 giugno del 1946. Quel giorno gli italiani votarono per l’Assemblea Costituente: il fronte di sinistra era rappresentato dal Pci di Togliatti e dal Partito socialista italiano di unità proletaria (Psiup) di Ivan Lombardo e ottenne oltre 9 milioni e 100mila voti. Due anni dopo, nelle prime elezioni per il Parlamento, fu la volta del Fronte democratico Popolare, la federazione formata da Togliatti e Nenni che aveva nel simbolo il volto di Garibaldi. I voti alla Camera furono 8.136.637, con il 30,98% delle preferenze.

E si arrivò così al 1953, la prima volta che gli italiani trovarono sulla scheda falce e martello, sia sul simbolo del Pci sia su quello del Psi. Il primo prese 6.120.809 voti, i socialisti 3.441.014. Da quel momento e per 30 anni, per il Pci, fu un crescendo: 8.551.347 di voti (il 26,9%) in pieno Sessantotto, 9.068.961 (il 27,15%) nel maggio del 1972, ben 12.614.650 nel giugno del 1976.

Il Pci arrivò al 34,37%, la percentuale più alta di sempre che però non bastò per farlo diventare il primo partito. Operazione che riuscì 8 anni dopo, alle Europee del 1984, quando i comunisti presero 11.714.428 voti contro gli 11.583.767 della Dc.

Il resto è storia recente, con le prime avvisaglie della caduta già nel 1987: i quasi 12 milioni di voti dell’ ’84 scesero a 10.250.644, 8 punti percentuale in meno rispetto al 1976. La prima pesante sconfitta è del 1994, quella della ‘gioiosa macchina da guerra’: il Pds prese 7.881.646 voti, contro gli 8.136.135 di Berlusconi. Poi venne il 2001 e il fondo fu toccato dai Democratici di Sinistra che presero 6.151.154 voti: fino ad oggi era il peggior risultato anche se altri 5.391.827 voti (14,52%) li raccolse la Margherita.

L’Ulivo di Prodi nel 2006 risollevò umori e speranza di tutta l’area riformista, raccogliendo 11.930.983 voti. Ma l’ennesima rottura a sinistra portò alla caduta del governo e al ritorno del centrodestra nel 2008 nonostante Walter Veltroni, diventato segretario del Pd, portò il partito al miglior risultato dalla svolta della Bolognina: 12.095.306 voti, con una percentuale del 33,18%.

La ‘non vittoria’ di Bersani nel 2013, con 8.646.034, ha aperto la strada al governo Letta prima, Renzi poi e, infine Gentiloni. Fino ai poco più di 6 milioni di voti di ieri. Un dato molto più vicino alla realtà di quanto lo fossero, come molti allora sottolinearono, quegli 11.203.231 di voti presi alle Europee del 2014, un 40,81% che illuse quel che resta della sinistra.

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