Presidenza Senato, cartina di tornasole per la soluzione della crisi

L'aula del Senato in una foto d'archivio. ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI

ROMA. – Il 4 marzo è ancora troppo vicino e un’intesa fra le forze politiche per la formazione di un governo è lontanissima nonostante l’appello del Capo dello Stato alla responsabilità. Ma fra due settimane i partiti si dovranno confrontare con la prima prova in Parlamento eleggendo i presidenti di Camera e Senato e sarà proprio lo scranno più alto di Palazzo Madama a consegnare la prima fotografia dei rapporti fra centrodestra, M5S e Pd.

Qualsiasi ragionamento non può prescindere dai numeri e dai regolamenti, tra l’altro diversi, che regolano la vita istituzionale dei due rami del Parlamento: è la coalizione di Salvini e Berlusconi a poter contare sulla quantità maggiore di seggi con 135 senatori e 260 deputati contro 112 senatori e 221 deputati pentastellati e 55 senatori e 110 deputati democratici.

Il che, considerando che a Palazzo Madama dalla quarta votazione scatta il ballottaggio, consentirebbe a Lega-Fi-Fdi di eleggere il presidente in totale autonomia al contrario di quanto avviene a Montecitorio dove è necessaria, dal terzo scrutinio, la maggioranza assoluta dei voti e dunque un accordo, per quanto informale, fra i diversi protagonisti. I giochi entreranno nel vivo solo dopo l’elezione dei capigruppo.

A ora siamo alle dichiarazioni ufficiali e a qualche sondaggio informale. Il leader del Carroccio Matteo Salvini rivendica trasparenza: “Noi avremo le nostre proposte e vediamo chi ci sta”, dichiara. Ma ad oggi la strada che appare più percorribile – secondo quanto viene riferito da alcune fonti – sembra un’intesa di massima sulle presidenze fra il centrodestra e il Movimento di Luigi Di Maio: alla coalizione di destra andrebbe la presidenza del Senato, in pole i nomi di Paolo Romani seguito da Roberto Calderoli, mentre ai 5S spetterebbe la guida dalla Camera per la quale il nome più accreditato è quello di Roberto Fico.

Considerando che l’indicazione nel Partito democratico sarebbe ad ora quella di votare in entrambi i casi scheda bianca, per consentire l’elezione di un esponente pentastellato a Montecitorio i colleghi di centrodestra dovrebbero essere pronti a lasciare l’Aula.

Tutt’altro scenario si realizzerebbe qualora invece i contatti fra le parti portassero a un patto fra centrodestra e Dem: in quel caso – sarebbe il ragionamento – il Senato potrebbe finire sotto la guida di Luigi Zanda mentre la Camera alla coalizione di centrodestra.

(di Chiara Scalise/ANSA)