Salvini apre al Pd ma con programma Lega. No dei Dem

Sfida con M5S su Def e manovra.

ROMA. – E’ guerra di posizione tra vincitori (e vinti) della tornata elettorale. Nel giorno in cui riunisce gli eletti per brindare al successo del 4 marzo a sorpresa Matteo Salvini apre al Partito democratico, ma chiarendo che lui resta il candidato premier e che un governo si farà solo sulla base del programma del centrodestra. Altrimenti, se non si riuscirà a fare un esecutivo politico, niente “pastrocchi” e si torna al voto.

Secco il no dei Dem che respingono le avance e invitano il Carroccio a governare “con chi ha il suo programma e i suoi toni”. Niente di nuovo, insomma. Ognuno rimane barricato sulla sua posizione in attesa di individuare crepe negli schieramenti avversari alle quali aggrapparsi per arrivare a una maggioranza che possa sostenere un nuovo esecutivo.

Anche il Movimento 5 Stelle, che a sua volta ha riunito i 339 eletti, 227 alla Camera e 112 al Senato, ripete il mantra della campagna elettorale, “pronti al dialogo con tutti” ma “parlando dei temi”. Entrambi restano intenzionati a formare un governo sulla base di programmi precisi, ma i propri. Ed entrambi stanno già studiando un ‘contro-Def’ rispetto a quello, tecnico e senza indicazioni programmatiche, che sta preparando il governo ancora in carica. Dei documenti da sottoporre a tutte le forze politiche per cercare convergenze in Parlamento.

Magari, come dice Salvini, anche il sostegno di un Pd ‘derenzizzato’ “a disposizione per dare una via d’uscita al Paese, a prescindere da chi vincerà le primarie”. Anche perché, se non si riesce a fare un governo, l’alternativa è quella di ridare “la parola agli italiani. Peraltro il candidato premier per il Carroccio, ‘benedetto’ anche da Umberto Bossi ma difficile da fare ‘digerire’ in ipotesi di larghe intese, era e rimane Salvini. Lo assicura anche il governatore del veneto Luca Zaia, tirato in ballo proprio nella rosa di nomi meno ‘divisivi’ per tentare di allargare il perimetro del centrodestra.

A stretto giro, comunque, arriva il niet dei democratici, per voce del capogruppo Ettore Rosato: “I primi a essere richiamati alla responsabilità – ribadisce – sono quelli che hanno avuto il mandato dagli elettori e vinto le elezioni. La Lega non si nasconda dietro a pretesti e costruisca le condizioni per un governo con chi ha i suoi stessi programmi e toni”.

Il Pd, insomma, per ora rimane fermo sull’idea di fare l’opposizione, senza scendere a compromessi né con il centrodestra né coi 5 Stelle, nonostante si inizino a registrare pressioni in questo senso, come l’appello di Pif, che indica “l’obbligo morale” almeno di provarci.

Il Movimento oggi resta alla finestra a guardare il balletto tra il Carroccio e i Dem, perché, dice baldanzoso Luigi Di Maio “se ci sarà un governo Pd-FI-Lega prenderemo i popcorn e vedremo aumentare ancora di più il nostro consenso”. Numeri alla mano, però, anche i grillini guardano al Pd, o quantomeno alle “persone di buona volontà” che si possono trovare in Parlamento, e con le quali c’è stato dialogo già “in 5 anni di legislatura”. Intanto tutti indicano come “cruciale” la scadenza del 10 di aprile, quando dovrà essere presentato il Def.

Sul fronte economico riparte la battaglia incrociata dei programmi questa volta tra Lega e M5S. Il Tesoro ha già annunciato di avere in preparazione un documento che aggiornerà solo il quadro tendenziale della finanza pubblica, lasciando le scelte programmatiche al prossimo esecutivo.

E se Salvini ha già lanciato la sua sfida all’Europa, preannunciando una “manovra alternativa, fondata sul contrario” di quanto chiede Bruxelles, e cioè con “meno tasse”, Di Maio ha in mente un piano più ‘soft’ con misure espansive e il rilancio degli investimenti produttivi ma prudente su un eventuale sforamento del 3%, nel rispetto dei parametri europei.

Non solo, la distanza tra i due la segna soprattutto il reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia M5S in campagna elettorale e visto come fumo negli occhi dalla Lega. Anche su questa prova, la prima cui saranno chiamate le nuove Camere, si rischia quindi il nulla di fatto rispetto ai numeri necessari per tenere in piedi un governo.

(Di Silvia Gasparetto/ANSA)

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