I dazi allarmano Federacciai, made in Italy colpito

ROMA. – Le conseguenze sulle aziende italiane sono ancora in corso di valutazione, ma è già chiaro che alcune saranno certamente colpite dai dazi su acciaio e alluminio decisi dall’amministrazione Trump. A spiegarlo all’ANSA è il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, preoccupato per il rischio escalation che potrà derivare dalle decisioni di Washington, ma più tranquillo sui rischi che potrebbero correre partite come Piombino e Ilva, entrambe impegnate in un arduo percorso di rinascita.

L’Italia, spiega Gozzi, “nel 2017 ha esportato negli Stati Uniti circa 500mila tonnellate di prodotti e semiprodotti siderurgici, su un totale Ue pari a 5 milioni, per un ammontare circa 700 milioni di dollari di fatturato (l’11,5% del totale europeo, ndr): non sono quindi briciole. Stiamo cercando di capire bene con la lettura dei codici quali sono i prodotti colpiti e quali no per valutare esattamente la ripercussione sulle singole imprese”, ma è già chiaro che alcune saranno “molto colpite”.

Gozzi cita per esempio il gruppo Valbruna (sedi a Vicenza e Bolzano, ma anche, non a caso, nello stato americano dell’Indiana) che, riferisce, “esporta oltre 40mila tonnellate di acciaio inossidabile negli Stati Uniti ed è quindi molto colpita”. Fortunatamente diversa, invece, è la situazione di Ilva e acciaierie di Piombino: “Non sono particolarmente preoccupato su questo, non vedo una connessione, sono molto più preoccupato per chi esporta. Piombino è purtroppo fuori dal mercato da tanti anni, Ilva speriamo si risolva presto”.

La decisione di imporre dazi del 25% sull’import americano, insomma, “è una cosa grave e, come tutte le misure unilaterali, è molto pericolosa e rischia di innescare guerre commerciali”. Il rischio concreto, spiega infatti Gozzi, è il cosiddetto “effetto boomerang”, con dazi sulle merci americane.

Tra l’altro, sottolinea, la “mossa” di Trump non si spiega neanche da un punto di vista politico, perché “a fronte di 130 mila addetti della siderurgia, negli Stati Uniti ci sono tre milioni di addetti alla trasformazione di prodotti che arrivano proprio dall’estero, che dai dazi sono sicuramente danneggiati”.

Inoltre, si chiede Gozzi, “l’acciaio che non andrà negli Stati Uniti dove finirà?”. L’unica soluzione che appare all’orizzonte, però, non è chiaramente quella giusta, e cioè la risposta “proporzionale dell’Ue nel quadro delle regole del Wto: vale a dire la ‘retaliation’ (rappresaglia, ndr) su altri prodotti. E’ esattamente questo che ci preoccupa. Sono molto pessimista”.

(di Francesca Paggio/ANSA)

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