Mafia: colpo a clan trapanesi, arrestato re dell’eolico

Matteo Messina Denaro in un'immagine d'archivio. LANNINO - NACCARI /ANSA

TRAPANI. – Si racconta in Cosa nostra che mettere le mani sulle proprietà dei potenti esattori mafiosi di Salemi, Nino e Ignazio Salvo, per il boss Matteo Messina Denaro sia stata una grande soddisfazione. E che parte del guadagno ricavato dalla vendita di ettari di terra, un tempo appartenuti ai ricchissimi cugini, sia stata messa in una borsa e consegnata al padrino di Castelvetrano perché potesse usarla per le spese della latitanza.

L’ultimo capitolo della storia della primula rossa di Cosa nostra l’hanno scritta i magistrati della Dda di Palermo che oggi hanno arrestato 12 tra capimafia e favoreggiatori dei clan trapanesi di Salemi e Vita. L’indagine, condotta dai carabinieri de dagli uomini della Dia, nasce dalla vendita all’asta di un grosso appezzamento di terreno ereditato dal nipote di Ignazio Salvo, Antonio, sorvegliato speciale dopo una assoluzione dal reato di associazione mafiosa.

Ad acquistare i fondi per poco più di 130mila euro sono Roberto e Vito Nicastri, imprenditori di Salemi come i Salvo. Vito in realtà resta sullo sfondo: noto come “il re dei venti” per l’immensa fortuna fatta con gli impianti eolici, ha pagato i suoi legami con la mafia col sequestro di buona parte del patrimonio. E nelle carte ufficiali non può risultare.

I Nicastri dopo un po’ vendono gli appezzamenti a una società, la Vieffe di un altro mafioso, Ciro Ficarotta, uomo d’onore di San Giuseppe Jato. Il prezzo nel frattempo è lievitato raggiungendo i 500mila euro. Parte dei quali, racconta il pentito Lorenzo Cimarosa, sarebbe stata consegnata, in una borsa, dopo una serie di passaggi, proprio a Messina Denaro.

“Mi ha detto che praticamente erano i soldi dell’impianto di… di quello degli impianti eolici di Alcamo, e che c’erano stati problemi perché aveva tutte cose sequestrate e i soldi tutti insieme non glieli poteva dare, perciò glieli avrebbe dati in tante tranches”, racconta il collaboratore di giustizia che nel frattempo è morto. I terreni si rivelano un affare anche per chi compra.

Ficarotta riesce a intascare centinaia di migliaia di euro di fondi che l’Ue dà per le coltivazioni a vigneti. In realtà i vecchi proprietari, i familiari dei Salvo, si erano tenuti i diritti di vigneto e avevano chiesto l’autorizzazione all’espianto, cosa che avrebbe deprezzato di molto il valore del fondo. Ma Cosa nostra, con l’intervento del boss Michele Gucciardi, li convince, con i metodi che sa, a desistere. E i nuovi proprietari possono così ottenere i soldi europei.

Insomma dall’affare che dimostrerebbe, per gli inquirenti, le infiltrazioni mafiose nelle aste immobiliari, guadagnano tutti. L’inchiesta conferma, poi, la capacità dei clan di fiutare gli affari. Emerge dagli atti che uno degli arrestati, Girolamo Scandariato, già condannato per mafia, aveva puntato sul business delle biomasse e cercava terreni per piantare gli alberi di Paulownia.

I carabinieri lo filmano mentre incontra l’ex senatore di Forza Italia Antonio D’Alì per contrattare l’affitto di terreni del fratello su cui piantare la Paulownia. Gli incontri con l’ex politico, che non è indagato, ma è sotto processo per concorso in associazione mafiosa per una precedente inchiesta, si svolgevano nel baglio dei fratelli Gucciardi, anche loro finiti in manette oggi. Frequentazioni imbarazzanti per D’Alì che la Procura utilizzerà nel procedimento di prevenzione, pendente in tribunale, in cui si deciderà se imporre all’ex senatore la sorveglianza speciale chiesta dalla Procura un anno fa.

(di Lara Sirignano/ANSA)

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