La Turchia circonda Afrin: “Via all’assedio finale”

Minacce ai curdi pure a Manbij: "Usa intervengano o sarà rottura"

ISTANBUL. – La Turchia lancia l’assedio finale ad Afrin. Dopo più di 50 giorni, l’offensiva contro l’enclave curda nel nord della Siria giunge a una fase cruciale. Nelle scorse ore, l’esercito di Ankara e le milizie arabe sue alleate hanno di fatto circondato il centro urbano di Afrin, al termine di un’avanzata lungo diverse direttrici che aveva già portato alla conquista delle colline al confine e di altre località strategiche per lanciare l’assalto.

L’avanguardia è avanzata soprattutto da sud-est. Intensi bombardamenti d’artiglieria e aerei vengono confermati anche da fonti curde. La città sarebbe ormai stretta d’assedio, con Ankara che rivendica di aver preso il controllo di alcune “aree di importanza critica”.

Migliaia di civili sono in fuga dalla città, attraverso l’unico corridoio percorribile che conduce ai distretti della provincia di Aleppo in mano ai governativi siriani e a milizie sciite filo-iraniane. Per molti, l’evacuazione potrebbe avere come destinazione finale gli altri ‘cantoni’ curdi nel nord-est della Siria. Ma per le decine di migliaia di persone ancora ad Afrin, la situazione umanitaria si sta facendo sempre più drammatica, con rifornimenti idrici ed elettrici a singhiozzo dopo che gli assedianti hanno preso il controllo della principale diga della zona.

“Se avessimo preso di mira i civili, sarebbe già caduta”, si difende però il presidente Recep Tayyip Erdogan, secondo cui sono stati finora “neutralizzati” (cioè uccisi, feriti o fatti prigionieri) “3.400 terroristi”. Mentre è in corso l’assedio, Ankara guarda già al resto delle zone curde nel nord della Siria.

L’obiettivo principale è sempre Manbij, a ovest della ‘linea rossa’ del fiume Eufrate. Il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu, in visita a Mosca alla vigilia di un nuovo incontro del terzetto di Astana con Russia e Iran, ha annunciato che una road map è in discussione con gli Usa, che sostengono i curdi e a Manbij schierano le loro forze speciali.

Ankara vorrebbe un controllo congiunto dopo un allontanamento dei curdi, ma dagli Stati Uniti non è giunta alcuna conferma. E dopo la cacciata di Rex Tillerson, che avrebbe dovuto incontrare il capo della diplomazia turca lunedì a Washington, non è escluso un rimescolamento delle carte. Del resto, ha avvisato ancora Cavusoglu, le relazioni con gli Usa sono vicine “al punto di rottura”. E senza un accordo, Ankara si dice pronta a un’altra azione unilaterale.

Intanto, dopo gli oltre mille civili uccisi nell’ultimo mese, proseguono le evacuazioni dalla Ghuta, l’area a est di Damasco assediata dai lealisti. Secondo Mosca, un migliaio tra miliziani e civili dovrebbero lasciare in queste ore la città di Douma, mentre per l’Onu è in corso una “evacuazione di massa” di civili, che a 7 anni dall’inizio della guerra civile restano vittime della tragedia umanitaria. Ancora oggi, denuncia Save the Children, più di 2 milioni continuano a non ricevere aiuti. E la metà sono bambini.

(di Cristoforo Spinella/ANSA)