Figlio di carabiniere della scorta Moro: “Figli delle Br mi hanno chiesto perdono”

DA SIN IN LATO Francesco Zizzi, Giulio Riviera e Raffaele Jozzino DA SIN. IN BASSO L'APPUNTATO DOMENICO RICCI ED IL MARESCIALLO ORESTE LEONARDI, AGENTI DELLA SCORTA DI ALDO MORO, UCCISI IN VIA FANI.

ROMA. – Il nuovo sfregio al memoriale per le vittime di via Fani è una ferita che si riapre per Giovanni Ricci, figlio di uno degli uomini della scorta di Moro uccisi a via Fani. A suo padre Domenico, l’appuntato dei Carabinieri morto nell’attentato, Giovanni ha intitolato un’associazione per portare avanti la memoria di quegli anni.

E non si è fermato a questo nel suo intento, doloroso ma caparbio, di ricucire la memoria. “Io ho incontrato anche alcuni figli e nipoti di brigatisti che hanno partecipato al sequestro Moro, di cui non farò il nome per rispetto della loro privacy – rivela all’ANSA – Mi hanno chiesto anche perdono per il dolore che ho ricevuto, anche se non avrebbero dovuto, non c’entrano niente. Non sono i figli a dover pagare le colpe dei padri”.

Un incontro tenuto segreto per pudore e perché racconta di un dolore condiviso e privato. Un dolore che se Giovanni Ricci ha vissuto in prima persona, perché quel maledetto giorno di via Fani lui era un bambino, i figli dei terroristi lo vivono ereditandolo perché quegli anni, gli anni di piombo, loro li possono solo immaginare. Ma, spiega Ricci, “li condannano”.

“Hanno coscienza degli errori madornali che hanno fatto i loro genitori nel violare la vita umana ma hanno diritto di vivere una vita normale -continua ancora Giovanni Ricci- Hanno apprezzato molto le parole di distensione e di riconciliazione che ho avuto nei loro confronti. Siamo una società democratica ed umana: chi ha pagato il suo debito con la giustizia lo ha pagato”.

Nella personale e pubblica opera di riconciliazione con la storia recente e sanguinosa del terrorismo Ricci non perde di vista la fermezza. “Chi ha sbagliato è un assassino e assassino rimarrà – ragiona – ma chi afferma il fallimento di un’ideologia ammettendo di aver fatto l’errore più grande della sua vita è da considerare in maniera diversa da chi ancora mitizza quegli anni. Pur condividendo pienamente le parole di Gabrielli sulla differenza tra chi era dalla parte del male e chi del bene, io sto cercando disperatamente anche di marcare una differenza tra gli stessi brigatisti, tra chi ha ammesso le proprie colpe e gli irriducibili”.

Per questo resta inflessibile con chi “mitizza quegli anni, un atteggiamento che potrebbe avere condotto anche all’ imbrattamento oggi della lapide che ricorda chi fu trucidato a via Fani, l’ennesimo gesto di insulto e oltraggio agli uomini che hanno difeso questa Repubblica”. “Un gesto – conclude- che ha rinnovato il nostro dolore ma che ha anche rinforzato la volontà di fare memoria”.

(di Paola Lo Mele /ANSA)

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