Addio a Mondonico, fece grandi Torino e Atalanta

Emiliano Mondonico, all'epoca allenatore del Torino, allo stadio Giuseppe Meazza prima della partita contro il Milan in una immagine dell'11 dicembre 1999 a Milano. ANSA/FARINACCI

ROMA. – Battagliero, grintoso, per molti il ‘campione degli outsider’, con quell’aria sorniona che ha fatto innamorare i nostalgici del suo calcio ma anche gli avversari. Per tutti era il ‘Mondo’, per altri ‘l’uomo della sedia’. Emiliano Mondonico se ne è andato, a 71 anni, stroncato dal Male che lo ha ‘marcato a uomo’ per sette lunghi anni.

Re del buon calcio di provincia ma anche allenatore capace di imprese che hanno lasciato il segno, soprattutto con le sue due squadre del cuore, Atalanta e Torino, come la semifinale di Coppa delle Coppe contro il Malines con gli orobici nel 1988 o la sfortunata finale di Coppa Uefa nel ’92 con i granata contro l’Ajax.

E’ stato quello probabilmente il più bel Toro dell’ ultimo quarto di secolo. Una squadra di grandi giocatori (tra gli altri, Lentini, Casagrande, Bruno, Annoni, Marchegiani, Vazquez) che ebbero la fortuna di trovare un grande direttore d’orchestra.

Nato a Rivolta d’Adda, il ‘Mondo’ sbocciò come calciatore nella sua Cremona, giocava all’ala ed era ‘uno scavezzacollo’; per qualche tempo, quando diventò granata fu definito il nuovo Meroni. Un’etichetta che non gli portò fortuna e che lo vide peregrinare per un’altra decina d’anni tra Monza, Bergamo e di nuovo Cremona, tra Serie B e Serie C.

Smessi gli scarpini e indossata la tuta di allenatore, il ‘Mondo’ intraprese la strada che lo avrebbe portato nella ristretta cerchia degli ‘indimenticabili’. Per via, da principio, della sua prima grande impresa, la Cremonese in A dopo 54 anni, per nulla lenita dall’immediata retrocessione, e poi per i prodigi compiuti sulla panchina delle due squadre che ne hanno segnato la storia, l’Atalanta per sette stagioni (suddivise in due periodi distinti), che portò prima in Serie A e poi alla semifinale di Coppa Uefa, e il Torino con cui ha vinto una Coppa Italia e disputato la finale Uefa passata alla storia per la celebre scena della sedia rabbiosamente agitata in cielo per protestare contro l’arbitro che non aveva concesso un rigore per fallo su Cravero.

Altri tempi e un altro calcio, quello di un vero sportivo, innamorato del pallone (ha allenato anche Napoli, Cosenza, Fiorentina, Albinoleffe e Novara, l’ultimo club quando la malattia aveva già fatto capolino) ma anche con una profonda e costante disponibilità nel sociale, prendendosi cura dei bambini affetti da problemi oncologici, di ex alcolisti e di ex tossicodipendenti.

Opinionista e commentatore tv, con il tono, il sorriso, le capacità giuste e quella qualità mai banale e scontata riconosciutagli da tutti, il ‘Mondo’ dai tackle in campo era passato poi ad affrontare quelli ben più duri della vita, questa volta entrata a gamba tesa: il ‘Male’, quattro interventi, l’asportazione di un pezzo di intestino. Botte che non lo avevano fiaccato, né messo in un cantuccio (“Il calcio mi dà la forza di continuare la sfida”, era solito ripetere). Fino a oggi.

Dopo Azeglio Vicini, Davide Astori, se ne va un altro testimonial del bel calcio, del pallone ‘pane e salame’, di un innamorato vero di questo sport per innamorati. “Ciao Papo.. sei stato il nostro esempio e la nostra forza.. ora cercheremo di continuare come ci hai insegnato tu”, lo ha abbracciato la figlia Clara, ma toccanti sono stati i messaggi delle ‘sue’ squadre.

“Se ne va un pezzo della nostra storia”, lo ha onorato la Dea, mentre il Toro lo ha salutato con l’epiteto che lo ha reso famoso: “Ciao Mondo, spirito indomito fino all’ultimo, ci mancherai”. “Ciao Mondo, sei stato un grande”, ha scritto Roberto Mancini. La sindaca di Torino, Chiara Appendino lo definisce “un combattente che mancherà al calcio”.

Anche se forse il saluto più giusto e calzante glielo regala l’ex ct della pallavolo e tifoso granata, Mauro Berruto: “Vincere non vuol dire solo alzare un trofeo. Ciao Mondo e, di cuore, grazie”.

(di Sandro Verginelli/ANSA)

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