Pd spaccato in due: è scontro, ma pontieri in campo

Il logo del PD a pezzi
La sinistra italiana pensa come uscire dall'angolo

ROMA. – E’ l’ora degli appelli, nel Pd. L’assemblea che dovrà decidere se eleggere un nuovo segretario o indire il congresso, dopo le dimissioni di Matteo Renzi, è in programma tra due settimane. Ma la tensione è già sfociata in scontro. Maurizio Martina, che è in campo per la segreteria, invoca “unità” e offre “collegialità”. Ma i renziani non si fidano: sospettano che voglia trattare con Di Maio per il governo. Andrea Orlando ribatte con l’accusa a Renzi di voler continuare nell’ombra a dettare legge. L’unica soluzione, dichiara Graziano Delrio, è il congresso subito.

“Diamoci tutti una calmata”, invoca Lorenzo Guerini, che i renziani vorrebbero segretario. “Basta polemiche, non servono conte”, è l’appello di Martina. Renzi fa sapere che parlerà solo in assemblea, il 21 aprile, quando formalizzerà il passo indietro. I gruppi Dem vengono convocati per martedì sera, a ridosso del secondo giro di consultazioni, per valutare il da farsi.

Ma l’ex segretario, con strategia che i renziani definiscono “difensiva”, sostengono che l’arrocco è l’unica strategia possibile: stare fermi e lasciare a chi ha vinto, M5s e centrodestra, la responsabilità di un governo o un fallimento. I dialoganti del Pd vorrebbero lanciare segnali al M5s che aprano uno spiraglio. Ma Martina dice che “un confronto” è “impossibile”, alla luce del “tatticismo” e dei “due forni” di Di Maio. Per ora, tutti fermi all’opposizione. Domani, chissà.

Ed è la possibilità che si apra lo spazio ad altri scenari ad agitare la corsa per la guida del partito. La miccia che dà fuoco alle polveri e porta alla luce lo stato pessimo dei rapporti interni, è la notizia della riunione di Renzi con i “big” a lui vicini (tra cui Delrio, Marcucci e Orfini, che compongono la delegazione delle consultazioni). La minoranza ostenta un’irritazione che accomuna tutti i “non renziani”.

“Se Renzi pensa che la colpa della sconfitta non sia sua, ma mia o dei cambiamenti climatici ritiri le dimissioni, sennò consenta a Martina di esercitare il suo incarico”, si indigna Orlando, esprimendo un pensiero condiviso da Gianni Cuperlo. E “l’emiliano” Francesco Boccia rinfaccia a Renzi di aver riunito un caminetto come quelli che tanto critica.

Martina tiene ferma la candidatura e va avanti nel suo lavoro: domani sarà a Roma sia a un’iniziativa del renziano Matteo Richetti, sia a un evento di giovani Dem sposato dalla minoranza; lunedì sarà alla direzione del Pd umbro, sabato all’assemblea lombarda. E ancora: una serie di incontri con le parti sociali (Cgil, Cisl e Uil, Confindustria e Alleanza delle cooperative) per rinsaldare i rapporti. Serve un “rilancio”, ripete il reggente.

La minoranza e Dario Franceschini, sarebbero pronti a eleggere Martina in assemblea. Renzi non ha ancora deciso: potrebbe condizionare la nomina di Martina a una data a inizio 2019 per il congresso e un vicesegretario come Luca Lotti. Ma i renziani consigliano all’ex segretario di non indugiare (ha ben oltre, assicurano, il 50% dei voti in assemblea) ed eleggere un nome come Guerini o Ettore Rosato. O andare al congresso a ottobre, candidato Guerini o Richetti.

Se Martina si candida in assemblea – avvertono di rimando i martiniani – i renziani non possono limitarsi a chiedere il congresso ma devono assumersi di votare contro e spaccare il partito. E’ già iniziato, osserva un deputato, il gioco del “cerino” delle responsabilità. E partono gli appelli: “Diamoci una calmata – dice Guerini – basta personalismi, tatticismi ed esasperazioni”. Ma se si andrà alla conta, annuncia Boccia, la minoranza avrà un candidato. Renzi, avvertono gli orlandiani, non è più il solo giocatore: Nicola Zingaretti potrebbe decidere di scendere in campo, se davvero si sceglierà il congresso.

(di Serenella Mattera/ANSA)

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