Il giorno di Di Francesco: “Ho preso schiaffi e reagito”

FOTO ANSA/ANGELO CARCONI

ROMA. – Dopo il 4-1 al Camp Nou su WhatsApp ha impostato l’immagine di una montagna con la scritta “se fosse facile lo farebbero tutti”. Ecco, non è stato facile, ma alla fine Eusebio Di Francesco ce l’ha fatta, ha scalato il Barcellona nella maniera più incredibile, accantonando il fidato 4-3-3 e scommettendo tutto sull’inedito 3-4-2-1. “Fosse andata male mi avreste ammazzato ma non mi interessa, io sono un pazzo” ha confessato a caldo, riconoscendo che “un allenatore che fa una cosa del genere in una partita del genere la fa a suo rischio e pericolo”.

Ma Di Francesco non è uno che ha paura ad assumersi le proprie responsabilità, confida nel lavoro che sta portando avanti a Trigoria, e soprattutto non ha mai smesso di credere alla ‘remuntada’. Il pari col Bologna, i successivi ko col Barça e con la Fiorentina sabato lo hanno convinto a tentare l’azzardo. “Ogni tanto ho preso gli schiaffi ma ho saputo sempre reagire” rivendica l’abruzzese, elogiato dal presidente Pallotta (“quello che ha fatto cambiando tatticamente è stato brillante, non penso che il Barcellona se lo aspettasse”) e indicato da Monchi come artefice della qualificazione in semifinale di Champions League.

Il direttore sportivo d’altronde è il primo tifoso di Di Francesco, lo ha scelto per la Roma dopo averne seguito le mosse al Sassuolo, e adesso ne evidenzia le qualità rivelando anche un retroscena. “Lunedì sera avevo parlato con lui perché non avevo seguito l’allenamento a Trigoria a causa di un appuntamento. L’ho chiamato per sapere come era andato e lui mi ha risposto ‘tutto bene, i ragazzi sono pronti’, e poi mi ha detto che cambiava un po’ il modulo mettendo la squadra col 3-4-3 per fare qualcosa di diverso e aumentare la fisicità” racconta Monchi, facendo notare che “è stata una scelta difficile perché quando arriva una partita del genere fare una cosa diversa da quella che si fa sempre è rischioso”.

E col Barça era tutt’altro che un rischio calcolato, ma Di Francesco “lo ha preso perché era convinto, e questo fanno gli allenatori, devono prendere decisioni diverse da quelle che possiamo pensare noi altri. Prima della partita forse poteva sembrare strana come scelta, ma era convinto, e questo significa che noi abbiamo un allenatore forte. Ma io lo sapevo già da prima”.

Quello che non poteva immaginare era la storica serata andata in scena all’Olimpico. “Fa piacere aver lasciato una traccia nella storia del club e del calcio italiano, ma ora continuiamo a sognare” è intanto il mantra di Di Francesco che punta a cime ancor più irraggiungibili. La finale di Kiev è un obiettivo dichiarato, “ma prima c’è da vincere il derby”. La Lazio è avvisata.

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