Spia russa, Opac conferma: “A Salisbury agente nervino”

La tenda della polizia nell'area dove l'ex agente russo Sergei Skripal e sua figlia sono stati trovati in condizioni critiche.
La tenda della polizia nell'area dove l'ex agente russo Sergei Skripal e sua figlia sono stati trovati in condizioni critiche. (ANSA/AP Photo/Matt Dunham)

LONDRA. – Un micidiale e sofisticato agente nervino. Arriva il placet dell’Opac, l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, alle conclusioni d’indagine britanniche sull’identità della sostanza che il 4 marzo scorso ha intossicato a Salisbury l’ex spia doppiogiochista russa Serghei Skripal, sua figlia Yulia e il detective Nick Bailey intervenuto in loro soccorso.

Un verdetto parziale, che non dice nulla sulla provenienza del veleno, ma che Londra interpreta come avallo delle proprie tesi d’accusa contro la Russia. Innescando un immediato nuovo botta e risposta con Mosca a colpi di sospetti incrociati in un clima che sul fronte siriano rischia di essere di guerra neppure più fredda.

I punti fermi messi giù dall’Opac incominciano comunque a mettere qualche paletto. In un estratto di un rapporto più vasto e “confidenziale” riservato ai Paesi membri (Russia compresa), l’organizzazione internazionale rende pubblico quanto è stato possibile ricavare dai dati ricevuti dagli ispettori inviati in Inghilterra nei giorni scorsi.

“I risultati della analisi dei laboratori designati per esaminare i campioni biomedici e ambientali inviati dal nostro team – vi si legge – confermano le conclusioni del Regno Unito sull’identità delle tossine chimiche usate a Salisbury e che hanno gravemente ferito tre persone”.

Tossine individuate attraverso campioni di sangue delle vittime e tracce raccolte direttamente sui luoghi dell’attacco (prima d’essere confrontate con le provette fornite dagli specialisti britannici del centro militare di Porton Down) che hanno permesso fra l’altro di verificare “un alto livello di purezza” della sostanza chimica. Anzi, “l’assenza quasi completa d’impurità”.

Di fatto la conferma dell’origine tutt’altro che artigianale di quel composto che Londra ha da parte sua già marchiato da settimane come un agente nervino analogo a quelli della classe Novichok: sperimentati a suo tempo nei laboratori della vecchia Urss, anche se ufficialmente mai prodotti né dichiarati e svelati solo negli anni ’90 da alcuni transfughi.

Malgrado la nota non contenga un riferimento esplicito al Novichok, né alcuna accusa alla Russia, il ministro degli Esteri britannico Boris Johnson lo ha accolto subito come una conferma della convinzione che “non ci possano essere dubbi” sulle colpe addossate al ‘grande imputato’.

“La Russia ha i mezzi, il movente e i precedenti”, ha sentenziato, ordinando al Foreign Office di chiedere a questo punto sia una riunione dell’esecutivo dell’Opac all’Aja sia una nuova sessione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu il 18 aprile a New York. Sedi nelle quali si prepara l’ennesimo muro contro muro, anche perché il Cremlino non ci sta.

Da Mosca il ministero dell’Industria nega che la Russia abbia sviluppato fino alla fine – e meno che mai stoccato – il Novichok, la cui formula è stata peraltro resa nota negli Usa fin dai primi anni ’90 dallo scienziato esule Vil Mirzayanov. Mentre la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, sottolinea la mancanza di evidenze di sorta o accuse dell’Opac verso il suo Paese. Aggiungendo peraltro che la Russia non è disposta ad accettare nessuna conclusione d’indagine finché Londra non le permetterà d’analizzare e confrontare direttamente tracce e campioni.

Non solo: Zakharova insiste nel rinfacciare al governo di Theresa May atti di “disinformazione deliberata, propaganda e manipolazione dell’opinione pubblica”. Tanto più dopo la guarigione ‘miracolosa’ di Yulia Skripal e il suo trasferimento in gran segreto in un luogo nascosto da dove la donna, cittadina russa, s’è materializzata solo tramite un testo attribuitole da Scotland Yard per rifiutare “al momento” l’assistenza consolare di Mosca.

“Una messa in scena”, taglia corto la portavoce russa, imposta a persone tenute “in isolamento forzato”, fino a prova contraria. Lontano dagli occhi di qualsivoglia osservatore terzo, parenti inclusi.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)