Cuba sulla giostra della burocrazia

Raul Castro, 86 anni,e Miguel Diaz-Canel, 57.

Un vecchio proverbio riassume lo scetticismo prevalente nelle strade di Cuba di fronte alle dimissioni dell’ultimo dei “barbudos” della Sierra Maestra (l’unico proveniente dal partito comunista cubano e a non lasciarsi mai crescere la barba), a sessant’anni dal trionfo della Revolución :”Que le hace una mancha más al tigre…”! Con ciò intendendo che se con una macchia in più o in meno il giaguaro non cambia la sua natura, altrettanto accade a Cuba avviata in questo fine-settimana a un altro giro di giostra della sua burocrazia.

Lascia la Presidenza Raul Castro, 86 anni, lo sostituisce il suo vice, Miguel Diaz-Canel, 57; via uno sperimentato politico di formazione marxista, assume un tecnocrate con formazione d’ingegnere elettronico, allevato alla discreta penombra del comitato centrale del partito. Al cui vertice di primo segretario e factotum resta comunque Raul Castro, fino al 2021. E l’altro detto popolare per le strade della più bell’isola dei Caraibi è: “Primero el Partido, luego se habla…”.

La realtà è nondimeno vieppiù imbrogliata: poiché non v‘è dubbio che la prima e l’ultima parola all’Habana ce l’ha il Partito (non il Governo); ma è ancor più vero che almeno un capo del nodo che le stringe la gola sta fuori dell’isola. E il suo filo decisivo sta tra le dita di Donald Trump, l’interlocutore più difficile che potessero mai immaginare nella capitale cubana. Problema appena attenuato dall’enorme contenzioso internazionale che assedia la Casa Bianca.

All’ordine del giorno della sua agenda latinoamericana, infatti, vengono senz’altro prima la drammatica situazione del Venezuela e le prossime elezioni in Messico, entrambe cariche d’incognite niente affatto chiarite nel vertice continentale di Lima. Né la pentola cubana, che pur ribolle permanentemente, al momento sembra sul punto di far saltare il coperchio. L’interminabile transizione presenta pertanto ancora margini di manovra.

La questione centrale e ineludibile resta per Cuba il grado di apertura al pluralismo interno e nei rapporti internazionali tollerabile per un saldo governo della gradualità del cambiamento. Lo sguardo del suo gruppo dirigente, molto incerto sebbene acutissimo ed esperto, è oggi rivolto prevalentemente alle esperienze asiatiche, dalla Cina al Vietnam, alla stessa Corea del Sud. Ovvero ai processi di trasformazione dei regimi a partito unico verso l’integrazione dei mercati.

Le dimensioni dell’economia cubana e la sua collocazione geografica ne marcano però un non comune grado di “unicità”. Paradosso della storia, queste stesse caratteristiche che sembrarono farne un originale modello rivoluzionario nell’ultimo scorcio del trascorso millennio, ne complicano oggi non poco l’indispensabile fuoriuscita. La transitabilità del riformismo cubano, le sue stesse possibilità di sopravvivenza appaiono più affidate ai suoi virtuosismi diplomatici che alla creatività delle formule economiche interne.

Livio Zanotti

Ildiavolononmuoremai.it

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