La storia crudele del Nicaragua

Le proteste contro il governo di Daniel Ortega in Nicaragua. EPA/JEFFREY ARGUEDAS

Hanno lasciato almeno 30 morti tra i quali un giornalista e centinaia di feriti le manifestazioni popolari della scorsa settimana in Nicaragua, contro il taglio delle pensioni e della spesa per istruzione e sanità. Il maggior paese dell’istmo americano, periodicamente colpito dagli uragani e dal bradisismo dei suoi vulcani, subisce adesso la scossa sociale più sanguinosa degli ultimi decenni. A sparare e uccidere sono i corpi speciali di Daniel Ortega, il “guerrigliero eroico” che alla testa del movimento sandinista lo liberò dall’infame dittatura della famiglia Somoza, divenuto però nel tempo un capo autoritario, dispotico e corrotto.

Di fronte al persistere della protesta e alla pressione internazionale che ha mobilitato da Papa Francesco a State Department a Washington, alle Nazioni Unite e all’Organizazione degli Stati Americani (OSA), egli ha frenato la repressione e dichiarato di ritirare il progetto di legge sulle pensioni. Propone di riesaminarlo in un comitato che comprenda tutte le parti interessate. Gli scontri sono cessati, ma nelle strade da cui sono stati ritirati i reparti speciali responsabili della repressione, restano migliaia di persone vigilate dalla polizia nazionale.

Ortega non appare certo come il satrapo cinico e gaudente Anastasio Somoza, laureato generale all’accademia statunitense di West Point, esploso in fine con la sua automobile blindata sul tritolo preparato da un artificiere dell’ETA basca nell’esilio paraguayano di Asuncion. Ma neppure il giovane leader che prometteva uguaglianza e fraternità. Alterne vicende d’un paese arretrato e privo di grandi ricchezze naturali l’hanno riportato al potere, dopo la lunga e fallimentare stagione dei governi neo-liberisti seguita a quella rivoluzionaria. Senza tuttavia cambiarne la rotta.

Del Nicaragua ho percorso negli anni Settanta le sue strade devastate dal terremoto, raccontato nel decennio successivo gli entusiasmi della stagione sandinista e poi l’involuzione autoritaria e da nuovo ricco seguita dal regime familistico di Daniel Ortega. Il suo modello ha incrementato la ricchezza prodotta dai 6 milioni di nicaraguensi, ma anche l’iniquità della redistribuzione. La famiglia Ortega e soci dispongono di ville che nei parametri delle società centramericane appaiono faraoniche, auto di lusso e cospicui conti bancari all’estero. Più d’un quarto degli abitanti abita in agglomerati di baracche.

Gli Ortega controllano l’intera economia nazionale attraverso parenti e soci fidati ai quali ha confidato posti-chiave nelle aziende di stato. La moglie di Daniel, Rosaria Murillo, ha in mano l’amministrazione pubblica ed esercita la vicepresidenza da molto prima che la sua funzione venisse formalmente ratificata. Due figli dirigono il vitale settore energetico, notevolmente potenziato grazie ai crediti e al petrolio fornito fino a due anni addietro a metà prezzo dal Venezuela. Un paio di nipoti si occupano dell’ente nazionale per l’edilizia popolare. Il sistema creditizio è gestito da amici sicuri.

Un’opposizione forte e vivace viene sostenuta da molti vecchi compagni: tra gli altri, dall’ex vicepresidente Sergio Ramirez, da Carlo Ferdinando Chamorro, già ministro di Economia e Finanza, da Maria Dora Tellez, accademica di Storia e valorosa partigiana sandinista. Era però rimasta recintata in un circuito privo di accesso ai mezzi di comunicazione di massa, strettamente vigilati dal sistema di potere personale di Daniel Ortega. Il loro isolamento appare però rotto adesso dalle manifestazioni di piazza che si susseguono malgrado la repressione e i morti tra i quali numerosi studenti.

A mettere il regime con le spalle al muro è la crisi economica. La fine dei favorevoli rifornimenti venezuelani ha innescato un deficit finanziario che Ortega tenta di tamponare riducendo la spesa sociale. Ma intanto è saltata anche l’alleanza strategica con i grandi gruppi stranieri. Per indurli a investire in Nicaragua, il governo aveva concesso finanziamenti a fondo perduto e regimi fiscali speciali, denunciati dall’opposizione come una delle maggiori fonti occulte d’inefficienza e corruzione. Comunque ora lo stato non ha più fondi per finanziarli e spaventati dalla determinazione della protesta, anche i grandi imprenditori sono passati ad accusare il governo.

Livio Zanotti

Ildiavolononmuoremai.it