Armenia, sale la tensione. Leader delle proteste: “Il governo s’arrenda”

MOSCA. – In Armenia la ‘rivoluzione di velluto’ indetta da Nikol Pashinyan, leader del piccolo partito di opposizione Elk divenuto in breve l’astro nascente della scena politica, non accenna a chinare il capo. Anzi, all’indomani della Giornata della Memoria del genocidio armeno, che cade proprio il 24 aprile, le proteste hanno ripreso vigore. “Vogliamo la resa incondizionata del partito Repubblicano al governo”, ha detto Pashinyan arringando la folla a Yerevan. Il tutto mentre il Cremlino monitora “con grande attenzione”.

Insomma, le dimissioni del premier ed ex presidente Serzh Sargsyan dopo un decennio di incontrastato dominio – incassate grazie a giorni di proteste pacifiche – non bastano più. I manifestanti hanno bloccato le strade che dal centro città portano all’aeroporto e le vie di comunicazione con la Georgia e l’Iran, rispondendo all’ennesimo appello alla rivolta pacifica di Pashinyan. Che ha definito come “inaccettabile” l’ipotesi che a guidare il Paese verso le elezioni anticipate sia il premier ad interim Karen Karapetyan, numero due del partito Repubblicano e fido alleato dello stesso Sargsyan.

“Sappiamo in quel caso quale sarebbe il risultato delle urne”, ha dichiarato il leader di Elk. Pashinyan ha dunque chiesto che al posto di Karapetyan venga nominato un altro primo ministro, un ‘candidato del popolo’, e che sia questa nuova figura a gestire la transizione. Pashinyan si è detto naturalmente disposto a farsi avanti, se questa sarà la “volontà popolare”.

Procedura naturalmente non ortodossa. “Cosa vuol dire candidato del popolo?”, ha chiesto Karapetyan. “Le elezioni esistono apposta: si candidi e se è il candidato del popolo il popolo allora lo voterà”. In pratica, stallo. E non a caso la crisi è stata prontamente ‘internazionalizzata’. Pashinyan ha fatto sapere di aver parlato con gli ambasciatori dei paesi Ue presenti in Armenia e di aver in programma incontri analoghi con i capi delle missioni diplomatiche di Usa e Russia.

L’ambasciatore italiano a Yerevan, Vincenzo Del Monaco, ha confermato all’ANSA il meeting – “abbiamo acquisito le sue valutazioni sul quadro politico e la sua possibile evoluzione” – e ha sottolineato come l’Armenia attraversi “una fase cruciale”, che probabilmente sfocerà “nella formazione di un governo di transizione che porti il Paese alle urne”.

Karapetyan non è stato da meno. Il premier in carica l’ambasciatore Usa lo ha già incontrato e Vladimir Putin ha sentito al telefono il suo omologo armeno, Armen Sarkisian, per uno scambio di vedute – entrambi concordano che la crisi va risolta col “dialogo e il rispetto della Costituzione”. L’Armenia, d’altra parte, è un alleato storico della Russia e Sargsyan è stato molto attento a muoversi all’interno dei perimetri geopolitici cari a Putin.

Pashinyan, va detto, ha subito chiarito che il rapporto con Mosca è “fondamentale” – nonostante alcune “differenze” – e dunque grandi conflitti non appaiono all’orizzonte: la Russia in Armenia ha due basi militari e di fatto ‘protegge’ Yerevan dalla storica rivalità di turchi e azeri, con i quali è sempre aperta la ferita del Nagorno-Karabakh (conflitto ibernato, più che congelato, ma che a tratti s’infiamma).

Le rivoluzioni però si sa come iniziano, meno come finiscono. L’opposizione russa è già galvanizzata e Alexei Navalny ha indicato il modello armeno come “un esempio” da seguire, rinnovando il suo appello a scendere in piazza contro Putin il prossimo 5 maggio.

(di Mattia Bernardo Bagnoli/ANSA)